“Lista nera” dei paesi più pericolosi per le donne: l’India contesta il suo primo posto

“L’India è il paese più pericoloso al mondo per le donne”. Se per i ricercatori dalla Thomson Reuters Foundation quest’affermazione merita di essere seguita da un altisonante punto esclamativo, l’indignato gentil sesso indiano l’ha invece appena sostituito con uno interrogativo, mettendo in discussione la veridicità del sondaggio di ricerca proposto a quasi 600 esperti di questioni socio-culturali. La motivazione? Il parere degli studiosi non rispecchierebbe la realtà vissuta dalle donne.

Protesta contro la violenza di genere, India, npr.org

Stando al resoconto dell’indagine – condotta su 548 esperti nell’ambito di assistenza sanitaria, discriminazione, tradizioni culturali, violenza sessuale, molestie non sessuali e tratta di esseri umani – l’India avrebbe infatti “conquistato” il primo gradino del podio, rubando il riprovevole primato ad Afghanistan (che solo sette anni fa era primo), Siria ed Arabia Saudita. Tra le centinaia di “voci” che hanno stilato la classifica si annoverano accademici, responsabili politici, giornalisti, rappresentanti del settore sanitario o di altri ambiti di sviluppo: di questi, 41 sono indiani ma ancora non c’è chiarezza circa la nazionalità degli altri specialisti, né su quanto siano state ampie le quote dei rappresentanti delle altre bandiere mondiali. Il compito assegnato è stato in primis di selezionare i cinque paesi da loro considerati più pericolosi all’interno di una lista di 193 Stati membri delle Nazioni Unite, per poi nominare – all’interno di tale top five – il nome ritenuto indiscutibilmente il peggiore in ciascuna delle sei categorie prese in considerazione.
L’India è stata collocata al primo posto dalla maggioranza in tre di queste: tradizioni culturali, violenza sessuale e traffico di esseri umani.

La replica “in rosa” dell’India

Immediata è stata la critica dell’opinione pubblica indiana, sconcertata sia dalla posizione degli altri paesi sul ” podio” (ritenuta fin troppo poco severa se paragonata alla mancanza di diritti femminili in tali Stati) sia dal curioso divario tra l’impressione degli esperti e quella della popolazione.
“Il sondaggio della Thompson Reuters Foundation si basa sull’idea di oltre 500 esperti e non sulla percezione delle donne comuni in India” ha twittato Aarti Tikoo Singh, editor presso il Times of India. “Come può la Siria, dove i jihadisti dell’ISIS hanno tenuto prigioniere le donne come schiave del sesso, essere più sicura per le donne?”.
Della stessa idea si sono rivelati anche il Ministero per le Donne e lo Sviluppo Infantile e la Commissione Nazionale per le Donne, la quale – non senza una certa amarezza – ha sottolineato come anche i paesi in cui le donne non hanno nemmeno diritto di parola abbiano sorprendentemente ottenuto più indulgenza dell’India, la cui immeritata medaglia d’oro dipende non tanto dai dati effettivi ma da una maggiore volontà di denuncia ed indignazione sociale sbocciata negli anni. In sostanza, ad essere aumentate non sarebbero le forme di stupro, molestie ed altri tipi di violenza contro le donne, bensì la segnalazione di tutti quei casi pre-esistenti che in passato la cultura misogina e patriarcale riduceva al silenzio con una mano premuta sulla bocca.

Le critiche alla metodologia 

C’è però da dire che ad esprimere la propria denuncia in merito alla questione non sono state solo voci femminili, così come a riconoscerne i pregi non sono intervenuti solo uomini: Sanjay Kumar, direttore del Centro per lo Studio delle Società in via di Sviluppo (CSDS), una delle più importanti organizzazioni di ricerca indipendenti dell’India, ha infatti denunciato apertamente la “mancanza di trasparenza relativa al divario di genere e alla provenienza” dei candidati scelti per il sondaggio, mentre al contrario una lancia a favore dell’indagine è stata spezzata dalla professoressa universitaria e nota attivista sociale Roop Rekha Verma.”Questo rapporto e le sue conclusioni sono sufficienti per farci alzare in piedi” ha chiosato la docente. “Si sarebbe ovviamente potuto ricorrere ad una metodologia migliore, radicata in dati intensivi e lavoro empirico, ma se più di 500 specialisti la vedono in questo modo deve essere presa sul serio: non sono percezioni di persone qualunque, si tratta di esperti ben informati”.

Opinione pubblica e bias sociali

Posizione in classifica indebita o meno, resta il fatto che anche senza la “spinta” del sondaggio Reuters le statistiche ufficiali sulla criminalità indiana si rivelano tutt’altro che ottimistiche: nel 2016 una donna indiana subiva violenza ogni 13 minuti, ogni giorno una media di 6 donne erano vittime di stupro da parte di una gang, una sposa veniva assassinata a causa della propria dote ogni 69 minuti e, da ultime, ogni mese ben 19 donne rimanevano sfigurate dall’acido. Sommando questi dati alle migliaia di denunce o segnalazioni per molestie sessuali, stalking, voyeurismo e violenza domestica, risulta difficile credere che in India il sesso femminile goda di libertà e diritti molto di più ampi di altri stati, tra cui il sopracitato Afgahanistan nel quale fino a poco tempo fa le donne non potevano nemmeno guidare un’automobile.
Eppure, come involontariamente mostrato dall’indagine Thomson Reuters Foundation, spesso e volentieri le nostre percezioni filtrano il modo con cui osserviamo la realtà, inducendoci ad amplificare esponenzialmente i bias negativi o, al contrario, a guidare in misura troppo rosea le nostre congetture di fronte a ciò che (erroneamente) crediamo di conoscere abbondantemente. Basti pensare che, sempre all’interno della famigerata “lista nera”, gli Stati Uniti si sono contro ogni pronostico classificati nelle prime dieci posizioni e, nello specifico, al terzo posto nella categoria delle violenze sessuali subite.