Non abbandoniamo gli animali: il rispetto che si meritano spiegato da Feuerbach

Ogni anno, solo in Italia, sono circa 130.000 i casi di animali domestici abbandonati. Ed il numero non accenna a diminuire, anzi, nel 2020 rischia di aumentare. La filosofia prende le difese di queste creature: anche loro hanno una propria dignità. 

Con la notizia del primo caso di un cagnolino infettato dal Covid-19, ci sono già stati anche padroni che hanno ben pensato di abbandonare il proprio animale domestico, presi dalla psicosi generale e da una paura irrazionale di un eventuale contagio. Aumenta così il rischio che questo fenomeno, già molto diffuso, si ingrandisca a dismisura, portando le persone a risultare totalmente insensibili nei confronti del loro animaletto in cui, fino a poco prima, avevano cercato (e trovato) un compagno fedele.

La dura battaglia contro il crudele fenomeno

Secondo le statistiche riportate dalla Lav, la Lega anti-vivisezione italiana, ogni anno, nel nostro paese, sono circa 80.000 i cani abbandonati e 50.000 i gatti che subiscono lo stesso destino. Il picco di questo fenomeno si raggiunge, come purtroppo è prevedibile, nella stagione estiva, quando la presenza dell’animale domestico diventa ‘ingombrante’ e fastidiosa, poiché non si sa dove collocarlo. Il cane che fino a qualche giorno prima era una piacevole compagnia viene trattato al momento delle vacanze alla stregua di un oggetto ora inutile, diventato un peso. E nonostante l’abbandono di animali sia a tutti gli effetti un reato, punito dall’articolo 727 del Codice Penale italiano, sembra che la minaccia delle sanzioni, per quanto molto pesanti, non sia sufficiente a rallentare il fenomeno. La crudeltà di tale gesto appare totalmente immotivata e assurda di fronte alle molteplici soluzioni alternative possibili. Esistono numerosissime pensioni adibite all’accoglienza di animali, ma anche in molte associazioni di volontari c’è chi si propone di occuparsene nei momenti in cui noi non possiamo farlo. Esiste anche l’alternativa di tenerlo con sé nel periodo estivo, dato che sta crescendo il numero e la preparazione delle strutture pet-friendly. E se proprio non è più possibile tenere l’animale con sé, si può ricorrere con facilità alla procedura di adozione: ci sarà di certo qualcuno che possa accudire e dare affetto alla creatura che può essere diventata difficile da mantenere. Con uno spettro così ampio di soluzioni possibili, l’abbandono appare ancora più spietato, un atto di crudeltà gratuito. Eppure, attualmente, il rischio che molti animali si ritrovino sulle strade sta aumentando. Solo pochi giorni fa infatti è stato trovato il primissimo caso di cane affetto da Coronavirus. Nonostante i media abbiano provveduto a rassicurare del fatto che si tratti di un evento isolato e del tutto eccezionale, la psicosi collettiva di cui già abbiamo fatto esperienza sta portando a considerare gesti estremi. In Cina è già successo, ma sembra che anche in Italia si stia già pensando a come liberarsi degli animali domestici, diventati improvvisamente, nell’opinione delle persone prese dal terrore, dei piccoli untori.

Jeremy Bentham, primo sostenitore dei diritti degli animali

L’etica e i diritti degli animali

Negli ultimi secoli, crescendo la consapevolezza del fatto che anche noi, biologicamente, siamo animali, la questione etica su tale argomento si è fatta più urgente. Già nella filosofia antica sporadiche voci avevano avanzato la domanda su come dovessero essere trattati gli animali, se appartenessero o meno ad un mondo diverso dal nostro. Si tratta di Pitagora e di Plutarco, che avevano optato per una dieta vegetariana, ripugnando l’idea di mangiare qualcosa che prima viveva, si muoveva nello spazio, aveva esperienza del mondo, esattamente come loro. Hume, importante esponente dell’empirismo inglese, per primo sostenne con forza che anche gli animali sono dotati di ragione e di una forma rudimentale di pensiero: se mai abbiamo avuto un semplice cane dovremmo essercene accorti, ed è invece ridicolo negare il contrario. La stessa tesi venne ripresa anche da Jeremy Bentham, filosofo e giurista inglese, ritenuto il fondatore dei diritti degli animali. Ciò su cui più insisteva era appunto l’evidente fatto che anche gli animali soffrono, e per questo devono essere difesi e sottratti alle sevizie a cui spesso sono sottoposti, trattati con una sorta di empatia. Se possono soffrire, infatti, non sono così distanti da noi: sono anch’essi creature fragili e sensibili, e di certo non hanno intenzioni malvage nei nostri confronti. Nemmeno noi, di conseguenza, dovremmo averne, ma al contrario sarebbe loro dovuto il nostro rispetto. E se dopo averli accolti facciamo loro subire l’abbandono, questo rappresenta la peggiore violazione della loro dignità.

il filosofo Ludwig Feuerbach

Feuerbach: la dignità delle creature viventi

Un altro intellettuale che si preoccupò della questione dell’etica animale fu il filosofo tedesco Ludwig Feuerbach. Al centro della sua filosofia c’è il ruolo fondamentale della natura: essa è la realtà primaria, da cui tutto dipende, e di conseguenza a cui è strettamente vincolato anche l’uomo. Feuerbach è ateo, materialista, ciò che per lui esiste realmente non sono entità trascendentali, bensì la sfera del finito, del limitato, in cui noi viviamo e di cui facciamo esperienza. L’uomo, in questo contesto, è un essere privilegiato, poichè è in grado di riconoscersi sia come individuo sia come specie, e in quest’ultima prospettiva riesce a scorgere il suo grande potenziale. Ciò, però, non significa che l’uomo debba soverchiare la natura stessa, anzi: egli è sua parte integrante, non può avere la presunzione di essere ad essa superiore. Con le sue capacità dovrebbe preoccuparsi invece di proteggerla, riconoscere la pari dignità di tutti gli esseri che al mondo naturale appartengono, e in particolare quella degli animali. Ad essi attribuisce, inoltre, un ruolo fondamentale: per Feuerbach non sono solo semplici esseri dotati di funzioni biologiche, ma anche creature capaci di grande empatia, con i quali instauriamo una sorta di comunicazione. Nel conoscerli e nel venir loro a contatto, ritroviamo quelle stesse passioni che anche noi abbiamo subito.

Forse che l’uomo abbandonato e respinto non trova nella fedeltà dell’animale, e in questa soltanto, un compenso per l’ingratitudine, la doppiezza e la perfidia del suo prossimo? L’animale non esercita forse sul cuore infranto dell’uomo una salutare influenza conciliatrice? Non c’è forse alla base del culto degli animali anche un senso buono e ragionevole? Non è l’animale che, nella favola, parla al cuore del fanciullo?”

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