Quando un soldato altro non è che una pedina di un gioco più grande di lui.

Che siano le due guerre del Golfo o l’attuale conflitto Russia – Ucraina, analizzare una guerra diventa fondamentale per comprendere i giochi di potere che si nascondono dietro chi ci governa. In questo caso, ci viene in soccorso De Andrè
“SPARAGLI PIERO SPARAGLI ORA”
Scritta nel 1964, “La guerra di Piero” è un manifesto che ben ci mostra la condizione dei soldati durante la guerra. Lontano dall’immagine mercenaria del soldato, qui De Andrè ci presenta il giovane e verecondo Piero, un soldato come tanti che combatte una guerra che, alla fine dei conti, non voleva combattere veramente, poichè costretto come tanti altri ad impugnare il fucile per difendere la propria patria. In quel giro di corde che ci regala un’atmosfera armoniosa, portandoci in un luogo dove il tempo sembra essersi bloccato, Piero ci narra la sua testimonianza in trincea, proprio come il poeta Giovanni Pascoli che, durante la prima guerra mondiale, si ritrovò a scrivere le sue poesie col nemico pronto a colpirlo:
“Fermati Piero, fermati adesso
Lascia che il vento ti passi un pò addosso
Dei morti in battaglia ti porti la voce
Chi diede la vita ebbe in cambio una croce”
Per la composizione del brano furono essenziali le testimonianze dello zio del cantautore, deportato in un campo di concentramento durante la seconda guerra mondiale, dove toccò con mano le atrocità della guerra. Lì dove, come scriveva lo scrittore Primo Levi, morivi per un sì o per un no, dove nessuno dei deportati volle usare violenza nei confronti dei nazisti, come raccontò la senatrice a vita Liliana Segre ricordando il momento in cui si ritrovo davanti un soldato tedesco con la possibilità di ucciderlo. Proprio come loro, anche il nostro Piero esita ad imbracciare il fucile nel momento in cui si ritrova davanti a sé un giovane soldato come lui:
“E se gli sparo in fronte o nel cuore
Soltanto il tempo avrà per morire
Ma il tempo a me resterà per vedere
Vedere gli occhi di un uomo che muore”
IL BATTESIMO DEL FUOCO
La teoria dell’élite del potere di Mills sostiene che il potere non è disperso tra gruppi di cittadini o gruppi di élite, ma piuttosto concentrato nelle mani di un piccolo numero di persone che controllano le principali istituzioni dello Stato, i maggiori gruppi economici e le forze armate. Queste élite sviluppano una visione del mondo comune. In primo luogo, le élite subiscono un processo di cooptazione in base al quale viene loro impressa una comune ideologia. In sintesi per i teorici di queste élite del potere, lo stato non è un’istituzione neutrale esistente in una società stabile dove tutti hanno un’uguale possibilità di soddisfare i propri interessi. Piuttosto, lo stato è visto come una istituzione controllata da un gruppo di élite. Prima che si intraprendessero le strade per le vie diplomatiche, la guerra era lo strumento che veniva utilizzato quando le nazioni tentavano di imporre la propria volontà sugli altri al di fuori della propria nazione attraverso il loro esercito. Per far sì che una guerra avvenga in primo luogo, ci deve essere una tradizione culturale conflittuale. Secondo, ci si deve trovare in una situazione in cui due attori politici hanno obiettivi tra loro incompatibili. Infine, una miccia deve trasformare la situazione dal “pensare alla guerra” a fare realmente la guerra, un concetto del tutto hegeliano che vede la guerra come necessaria per il raggiungimento oltre che l’adempimento del potere di una Nazione. La guerra è spesso paragonata al terrorismo ma non è esattamente così, in quanto si è cominciato a parlare di terrorismo soltanto con i conflitti arabo palestinesi, dove a far la guerra erano giovani incapaci spinti soltanto da un forte nazionalismo, mandati a combattere senza munizioni, come affermato da Oriana Fallaci, giornalista in trincea che assistette alla crudeltà non solo dei soldati che combattevano, ma anche di chi li mandava a combattere. Le organizzazioni, come l’Onu e le Nazioni Unite, hanno contribuito a favorire un maggior dialogo tra le nazioni rendendo la guerra solo l’ultima carta da giocare, in quanto si sono verificate un rilevante numero di guerre quali la guerra in Vietnam ed in Bosnia ed Erzegovina. Infine, i racconti della Fallaci ci parlano di uomini desiderosi di combattere spinti dal loro vuole difendere la patria mentre chi li muove sul tavolo da gioco prenderanno qualsiasi merito, facendo si che il loro sacrificio non si rifletta nemmeno sulle loro piastrine identificative.
SCACCO MATTO
Se cantare sotto un cielo di bombe non è bastato al povero Piero per rendere eterne le sue sofferenze, da un lato il racconto dei testimoni resta fondamentale non solo per la veridicità storica, ma anche per testimoniare ogni ferita vissuta. Di questo potrà vantarsi il soldato che non ricambiò “la cortesia” di Piero, preferendo piuttosto ucciderlo sotto una raffica di proiettili che, scagliati come pietre, uccisero Piero insieme a tutta la vita che poteva ancora vivere. Ma la vita di Piero non fu decisa da quel soldato che mirò il fucile contro di lui, ma da coloro che lo costrinsero a combattere: se da un lato la colpa ricade anche su di lui per non aver trovato anche lui “soluzioni diplomatiche” che potevano risparmiarli l’arruolamento, da un lato un’intera elite ebbe l’ultima parola sul destino del nostro soldatino. Tanti sono i Piero che combattono al fronte, eppure il loro sacrificio resta inascoltato se non addirittura ignorato. Interventisti o neutralisti? Ad avere piena coscienza del numero incalcolabile di uomini mandate a morire sono coloro che ce li mandano, coscienti che il loro gesto sarà necessario per la ricostruzione di un nuovo Stato di cui il potere sarà incommensurabile e che sarà sorretto “dai cadaveri dei soldati portati in braccio dalla corrente“. Scacco matto.