Marx e Degas ci parlano dell’uomo moderno: solitudine e alienazione

Le grandi innovazioni portate dal progresso hanno da sempre diviso le opinioni: c’è chi ne mostra i  lati positivi, come ci abbiano aperto innumerevoli porte. Ma c’è anche chi invece nota come queste possano mutare profondamente l’animo umano, portandolo all’alienazione.

Ci troviamo nel pieno dell’800: l’epoca dei lumi è al suo tramonto, la fiducia nel rapido progresso scientifico e tecnologico sta lasciando spazio a considerazioni di altro tipo. Quali sono state le sue conseguenze? Gli effetti prodotti sono davvero tutti positivi? A fare la stessa riflessione sono in particolare due personaggi, vissuti nello stesso secolo, ma che nient’altro avevano in comune. Sono Karl Marx, celebre filosofo, politologo ed economista tedesco e Edgar Degas, scultore e pittore impressionista.

I filosofi Hegel e Marx

Il mutamento dell’alienazione

Nel 1844, per la prima volta, nei suoi “Manoscritti economico-filosofici”, Karl Marx effettua una lucidissima analisi della società moderna, con l’obiettivo di comprendere quali siano le sue condizioni e di proporre delle soluzioni per migliorarle. In questo testo il filosofo tedesco rivisita un termine la cui importanza era stata fatta valere da Hegel, criticando il suo precedecessore e dando invece alla parola quel significato che ancora oggi ci richiama alla mente. Si parla di “alienazione”: per Marx questo sarà il termine designato per caratterizzare l’uomo contemporaneo, anzi, l’intera società ottocentesca. Prima di essere “rinnovata”, però, la stessa parola era stata utilizzata per descrivere un passaggio che in sè aveva sì carattere negativo, ma il cui esito non poteva che essere positivo. Hegel infatti l’aveva introdotta nel contesto della scissione dello spirito, il momento in cui esso diviene “altro da sè”, si trasforma. Alienarsi, per il grande filosofo idealista, corrisponde al sacrificarsi dello spirito, quel momento in cui esso perde la sua unità per uscire da se stesso. Questa è però una tappa necessaria, fondamentale perchè lo spirito possa compiere il percorso di riconquista di sè dopo essersi “osservato dall’esterno”. Solo dopo essersi alienato, infatti, questo può tornare in sè ed essere realmente completo. La teorizzazione filosofica del concetto viene invece stravolta dal più concreto Marx: l’alienazione non ha niente di positivo, anzi, è una piaga che affligge l’individuo moderno. Ed è stato il processo storico, i diversi eventi che nel corso del tempo hanno fatto sì che si affermasse la società capitalista, che hanno portato anche il singolo a perdere la sua stessa essenza.

Un dipinto di Munch simboleggiante l’alienazione

La perdita di sè

La condizione dell’alienato, secondo Marx, è quella che si può osservare in primis nel comune operaio. Questi viene disumanizzato, sotto quattro diversi aspetti, dal lavoro degradante che si trova a svolgere. È alienato rispetto al prodotto frutto della sua fatica, in quanto esso non gli appartiene, ma è alienato anche nei confronti della sua stessa attività, in quanto non è libera. Egli deve produrre secondo regole, indicazioni, tempi stabiliti: la società moderna non lascia spazio alla creatività. Il suo lavoro è ripetitivo, costrittivo, spesso nemmeno molto remunerativo: la sua stessa essenza di essere umano viene svalutata, l’individuo viene separato anche da essa. È alienato infine dal capitalista, da colui che gli impone l’attività e non lo tratta da suo pari, bensì come un semplice mezzo. L’uomo si trova ad aver perso la sua caratteristica peculiare di essere appunto umano, si sente lui stesso in inferiorità, più simile ad un animale o ad un oggetto che a una persona. Con una brillante osservazione Marx a questo punto ci fa notare come l’uomo, così allontanato dalla sua essenza, si sente davvero libero solo nelle sue funzioni primitive, animalesche. Ricerca quindi la sua libertà eccedendo nel bere e nel mangiare, sfogando le pulsioni sessuali. Paradossalmente, l’unica cosa che ancora gli appartiene del suo essere uomo è ciò che lo accomuna agli animali.

Un dettaglio di “Assenzio”

Spleen e assenzio

La condizione dell’alienato di Marx è stata descritta in modo molto accurato, seppur involontariamente, da uno dei dipinti più famosi del XIX secolo. Si tratta di “Assenzio“, fondamentale opera di Edgar Degas del 1875. Un olio su tela che fotografa la situazione della società dell’epoca, che ci parla del lato oscuro della modernità. Il soggetto del dipinto è una donna seduta in un caffè,  accanto ad un altro individuo vestito di nero. Lei è una prostituta, vestita in modo da sembrare quasi elegante; lui è un barbone. Ogni dettaglio dei due protagonisti ci svela quanto sia desolante la loro condizione: il “lussuoso” abbigliamento della donna, in realtà, è tale solo  all’apparenza, i fiocchetti malmessi e le trine sgualcite ci parlano invece della sua miseria. L’uomo fuma da una pipa, vuole quasi sembrare  un intellettuale borghese, ma il suo stesso gesto appare stonato se messo accanto all’espressione del suo volto. Il momento più espressivo dell’opera, però, è di certo lo sguardo della prostituta. Davanti a sè ha un bicchierino di assenzio, un fortissimo liquore dal potere inibitorio, molto pericoloso per l’organismo, usato all’epoca come una vera e propria droga da chi ricercava lo stordimento. Ma il suo sguardo oltrepassa anche questo oggetto, va verso il vuoto, resta vitreo e inespressivo. La sensazione che sembra voler trasmettere è quella che i poeti maledetti chiamerebbero “spleen“: un’amarezza generale, un impressione di vuoto, di mancanza di senso. Lo stesso si potrebbe dire dell’espressione del barbone, che ad una prima osservazione potrebbe sembrare immerso nei suoi pensieri, ma che più probabilmente è affetto dalla stessa sensazione della donna. L’unica cosa che rimane ai due personaggi, per non rimanere intrappolati nella loro miserevole condizione, è cercare una via di fuga da sè, alienandosi persino dalla propria coscienza, scacciando lo spleen con l’assenzio.

 

 

 

 

 

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