Quando nel 1997 chiesero a monsignor Ernesto Vecchi se la Chiesa avesse mai preso “lezioni” di marketing, lui con un sorriso sardonico stampato in faccia rispose: «La Chiesa può solo darne di lezioni. Il marketing? Ha cominciato Gesù, già duemila anni fa».
Oggi – con oltre due decenni di progresso mediatico e sociale alle spalle – possiamo confermare che il vescovo bolognese ci aveva visto giusto. Infatti, nonostante lo stesso Gesù nella Bibbia abbia ribadito di “non fare della casa del Padre un mercato”, è stato inevitabile che l’avvento dell’epoca moderna, in tutta la sua dinamicità e prepotenza, intaccasse ogni ambito della quotidianità, campanile compreso.
Una volta messi da parte gli ostracismi verso la modernità ed abbandonata la Crociata contro tutto ciò che è ritenuto anti-tradizionalista, ecco che anche la religione (o meglio, le religioni) ha così accettato di “giocarsela” ad armi pari contro (o di fianco a) i grandi leader del “market” mondiale: questo si è verificato principalmente negli ultimi due decenni, da un lato a causa della maggiore concorrenza in campo da parte di varie confessioni emergenti e dall’altro anche per “colpa” della nascente comunicazione di massa.
Il mercato dello scambio
Prima di aprire questo sconfinato vaso di Pandora, sarebbe però giusto chiedersi: è davvero corretto di parlare di marketing quando il soggetto in questione non è un’azienda ma piuttosto un ente sacro che esiste come guida morale e spirituale da millenni? A detta del “guru del management” Philip Kotler la risposta sarebbe un sonoro sì. Secondo l’esperto il marketing può essere infatti concepito come “il processo sociale mediante il quale una persona o un gruppo ottiene ciò che costituisce oggetto dei propri bisogni o desideri creando e scambiando prodotti con altri”, il tutto senza dipendere necessariamente dalla componente economica. Ciò che quindi realmente definisce il colosso del marketing non è tanto l’attività produttiva e monetaria, quanto più la concezione più allargata dello scambio, il quale può essere proposto da qualsiasi organizzazione no-profit tanto quanto dalla religione stessa.
Elevation Church: lo streaming religioso da migliaia di followers
Per avere un chiaro esempio di quale possa essere il rivoluzionario primogenito del connubio tra religione e mass media, basta dare un’occhiata alla cosiddetta Elevation Church che – come professa la sua pagina web – “esiste affinché le persone lontane da Dio siano innalzate alla vita in Cristo”. In un sorprendente mix di streaming online, televisione e musica, l’innovativa forma di “fede di massa” fondata dallo scrittore e compositore del New York Times Steven Furtick annovera ad oggi nel suo “gregge” (virtuale ed in carne ed ossa) quasi 20.000 seguaci, 16.000 persone neo-battezzate e più di 8.000 volontari all’opera.
Eppure se nella vostra mente si sta già materializzando l’immagine di uno staff composto da suore e sacerdoti siete totalmente fuori strada: alla guida di Elevation Church si contano piuttosto responsabili dell’ufficio finanziario, direttori delle comunicazioni, pastori addetti all’espansione ed altri al culto, nonché coordinatori di gruppi per ragazzi e bambini di ogni età. Senza contare poi gli incaricati della creazione di app ufficiali scaricabili via smartphone e, nondimeno, i tecnici addetti ad audio e video che curano la componente sicuramente più coinvolgente ed attrattiva di tutta l’organizzazione religiosa: i sermoni.
Religione 2.0: il Vangelo su maxischermo
Bastano pochi click – uno sulla pagina web principale e il secondo sulla tendina “sermons” – per aprire una vera e propria biblioteca virtuale di omelie, più simili a delle TED Talks spirituali piuttosto che alle classiche prediche dal pulpito dell’altare a cui tutti noi siamo abituati.
Ogni domenica puntale – come se a scandirne l’inizio fosse il familiare scampanare del campanile – decine di Ciceroni prendono posto su un grande palco, attorniati da una platea di fedeli che tra applausi, ovazioni e (ovviamente) preghiere ascoltano il loro sermone settimanale in una modalità diametralmente opposta a quella che viene comunemente considerata la regola liturgica. A rendere il tutto ancora più innovativo e “a prova di marketing” è anche la possibilità di assistere alla lettura del Vangelo via streaming online, rompendo così gli schemi tradizionali che richiedono ai fedeli di essere personalmente presenti ad una funzione di nicchia e spalancando i cancelli ad una comunicazione religiosa globale.
Osservando – anche semplicemente dietro uno schermo – l’inatteso dialogo bidirezionale tra oratore e ascoltatori, fatto di domande e risposte tanto quanto di una comunicazione fisica (oltre che verbale) che lo vede camminare tra le file del pubblico o addirittura sdraiarsi a terra, risulta impossibile non notare l’enorme salto sociale che la religione ha compiuto in questi anni. Un cambiamento che non solo frantuma tutti quei dogmi fino ad ora ritenuti inviolabili, ma dimostra che nell’era dei digital natives nemmeno la fede può peccare del vizio capitale della superbia di fronte all’Avvento del marketing sociale.