L’Uomo è una specie animale tecnicamente capace di fare molte cose. Nessun altro animale esistente (e presumibilmente anche estinto) è in grado di influire, con il suo agire, così tanto sulle condizioni del pianeta Terra quanto gli esseri umani. Da sempre ha cacciato per sussistenza e per piacere, ha sempre disboscato aree del globo che preferiva fossero disboscate e ha bonificato zone che preferiva fossero bonificate. Tendenzialmente, appena lo sviluppo della tecnica gli ha permesso di fare qualcosa, egli ha incominciato a farlo, fino all’estremo dato dall’utilizzo della bomba atomica.
È innegabile che, a partire dalla rivoluzione industriale e poi ancor di più nel XIX e XX secolo, l’uomo abbia influito e modificato le dinamiche ambientali dell’intero globo in maniera massiccia: inquinamento di tutti i tipi e altre azioni rese possibili dalla tecnica portano ad un aumento della temperatura e uno sconvolgimento di molti ecosistemi, l’estinzione di molte specie animali e la distruzione di molti ambienti naturali. La consapevolezza di ciò è emersa con vigore nell’opinione pubblica (se ancora essa esiste, bisognerebbe chiederlo ad Habermas) negli ultimi decenni, portando ad un’opinione diffusa in larga parte della popolazione che, seppur articolata in numerose posizioni differenti, potremmo riassumere come: “l’Uomo è la più grande piaga possibile per il nostro pianeta, è per esso il male assoluto”. Un giudizio morale netto di questo tipo pare essere molto diffuso, tuttavia è importante ragionare sul perché tutti questi atteggiamenti sarebbero un male.
Morale nella società post-metafisica
La morale compare con l’Uomo. Solamente nell’uomo si è sviluppata, sinora, una razionalità simbolico-linguistica tale che permetta di giustificare (o quantomeno tentare di farlo) razionalmente un’azione: solo in questo caso, infatti, si ha un’azione definibile come ‘morale’. Gli animali a volte compiono delle azioni che ci appaiono buone, ma non sono morali nel senso sopra descritto. Un cane, ad esempio, può mettere a repentaglio la propria vita per salvare il proprio padrone, ma lo farà per devozione o amore (anche se sono poco convinto che si possa parlare di amore ne caso degli animali, ma non è qui importante) e mai perché considera la sua azione moralmente giusta. Non pare dunque insensato sostenere che con la scomparsa dell’Uomo ci sia pure la scomparsa della morale, e che quindi parlare di ‘bene’ e ‘male’ senza che vi sia una prospettiva umana sia insensato.
Quando si giudica un’azione con un criterio di moralità, pare essenziale individuare il soggetto che compie l’azione, l’oggetto (ossia chi ne subisce le conseguenze) e, tendenzialmente, i suoi diritti. Quella basata sui diritti è una forma di morale, ce ne sono altre, ma in una società post-metafisica e secolarizzata, nonché liberale come la nostra, di solito si considera moralmente illecita un’azione quando essa lede il diritto di un altro soggetto, mentre tutto ciò che non lo fa è considerato lecito. In questa prospettiva largamente diffusa possiamo inserire i quesiti che muovono la nostra indagine: le specie animali hanno un valore morale intrinseco? Sono da preservare a prescindere dall’essere umano? Abbiamo un dovere di qualche tipo verso il pianeta e i suoi abitanti non umani?
Morale e natura
Queste domande parrebbero aprire la complessa questione riguardante l’etica animale: ciò è vero, ma in realtà la prospettiva è qui un po’ differente da quella classica sollevata nel dibattito bioetico e ambientalista. Normalmente si discute sulla liceità di provocare dolore e uccidere sistematicamente (o non) gli animali non umani, se questa pratica sia sbagliata e se quindi debba essere esclusa dalle consuetudini umane. L’approccio è, tendenzialmente, quello di individuare se e quali animali abbiano determinati diritti e se sia necessario rispettarli per agire moralmente. In questo senso una norma morale sulla condotta da applicare nei confronti degli animali risulta essere parallela e congiunta con tutte le altre norme morali umane, sarebbe come una regola in più del nostro codice di condotta. La questione di un inquinamento irreversibile, invece, ci porta a dover dare un giudizio sull’estinzione di diverse specie affianco, ipoteticamente, anche alla nostra. Ecco che quindi la domanda più posta più nello specifico risulta essere: è moralmente intrinsecamente sbagliato portare all’estinzione di una specie in maniera colposa, quindi senza averne l’intenzione? Una specie animale, e non tanto i suoi singoli componenti in quanto individui, ha un valore morale intrinseco?
Le specie animali si evolvono e si estinguono, questo è noto. Miliardi di specie si sono estinte nella preistoria per una causa o per l’altra, molte continuano ad estinguersi ancora oggi, ma l’estinzione di una specie, qualsiasi essa sia è un avvenimento naturale. Seppur causato dall’uomo, in maniera non volontaria, l’estinzione di una specie è difficilmente considerabile qualcosa di sbagliato moralmente. La morale, così com’è stata intesa sopra, appare impossibilitata a giudicare su casi in così larga scala, in quanto le categorie di soggetto, oggetto, diritti e quindi responsabilità sono difficilmente individuabili o anche solo adatte a inquadrare questo problema. L’estinzione involontaria delle specie è difficilmente identificabile come un’azione morale, ma sembra molto di più assomigliare a un avvenimento naturale. Ciò che ci spinge a salvare le specie in via d’estinzione è dunque un sentimento di bontà, che infatti riscuote poco successo, oppure una prospettiva egoistica e incentrata sui nostri interessi (a volte sono interessi positivi, tipo volere che la prossima generazione possa vedere la data specie animale).
Estinzione umana
Un discorso analogo può essere esteso, seppur con qualche problematica in più, anche all’estinzione umana: è essa il nostro male ultimo? Come la nostra estinzione può essere considerata un male (o anche un bene), visto che il soggetto e l’oggetto dell’atto coincidono? Compiere azioni che possono, potenzialmente, portare verso l’estinzione della specie ha più somiglianza con un atto masochistico o addirittura, per utilizzare un termine economico, sconveniente, piuttosto che giusto o sbagliato. La moralità mostra la sua inadeguatezza di fronte a questi casi estremi e quindi anche gli argomenti morali, nell’inclinare i nostri atti verso una certa direzione, appaiono poco applicabili. Potrebbe dunque sembrare che, di fronte all’estinzione della nostra specie, noi ci dobbiamo semplicemente rassegnare al caso, ma non è così: possiamo sempre scegliere e lo dobbiamo scegliere perché è ciò che sentiamo maggiormente di volere, e non perché sia giusto o sbagliato. Ciò che ci dovrebbe spingere verso un cambio di rotta nei confronti del problema dell’inquinamento non è tanto una questione di giusto o sbagliato, quanto la semplice volontà di continuare a vivere, tanto come individui quanto come specie. Se sia meglio essere o non essere è un problema a cui la morale non può dare risposta.
Martino Bidese
Caro Marty, quattro basi azotate risolveranno le eventuali situazioni; possiamo chiamarle anche Madre Natura.