L’inquietante lato oscuro dei cambiamenti climatici svelato dalla microbiologia e da Virus Letale

I cambiamenti climatici includono numerose conseguenze che possono essere più o meno gravi per la sopravvivenza umana. Prima d’incutervi con questo articolo, voglio tranquillizzarvi: nonostante i nostri stili di vita muteranno, così come clima ed ecosistemi, è poco probabile che questi fenomeni determinino la fine della razza umana. Infatti, tali cambiamenti causeranno di certo delle vittime, ma niente a cui la tecnologia del ventunesimo secolo non possa porre rimedio. Purtroppo nell’ombra, come nei migliori film horror, si nasconde qualcosa: un piccolo particolare che può cambiare le carte in tavola. Scopriamo di cosa si tratta, ripercorrendo la trama di Virus Letale del 1995.

Da sinistra a destra i protagonisti di Virus Letale: Dustin Hoffman (Col. Sam Daniels), Rene Russo (Robby Keough) e Morgan Freeman (Gen. Billy Ford).

Il principio

Come sono collegati cambiamenti climatici e pandemie? Nel film tutto comincia con una misteriosa epidemia nello Zaire, nella quale sono coinvolti alcuni militari americani. Nella realtà, durante l’anno 2016, un dodicenne che viveva nella penisola Jamal nella Russia nord-occidentale, morì a causa di antrace. Contemporaneamente, almeno altre venti persone ricorsero alle cure ospedaliere per lo stesso tipo d’infezione. Diversi studi hanno dimostrato che un’ondata di calore aveva sciolto una porzione di permafrost, al di sotto della quale si trovava da circa 75 anni la carcassa di una renna morta appunto di antrace. I resti esposti dell’animale avrebbero contaminato dapprima il suolo e l’acqua e a seguire le risorse alimentari, giungendo ad infettare circa 2.000 renne e in seguito l’uomo. Occorre considerare che sotto il ghiaccio si trovavano uomini e animali morti secoli fa, e che con questi potrebbero essere sepolti anche i patogeni responsabili della loro morte.

Permafrost in fase di scongelamento nella regione dello Svalbard, Norvegia.

Il risveglio

La pellicola prosegue con un salto temporale di trent’anni, con le vicende di Sam Daniels, colonnello e medico ricercatore dell’esercito. Insieme ai suoi collaboratori (Robby e Billy), viene inviato in un piccolo villaggio in Africa per indagare su un nuovo tipo di Virus. Il patogeno in questione uccide velocemente, Sam cerca di avvertire il suo diretto superiore, ma viene ignorato e l’esistenza stessa della malattia non viene resa pubblica. Trent’anni prima, il governo aveva bombardato il primo focolaio, insabbiando la faccenda. Successivamente il virus riesce ad arrivare in America, e qui muta: infatti comincia a diffondersi anche per via aerea. Per fortuna tutto questo accade nel film, ma forse può dimostrare quanto un ‘risveglio’ microbico possa essere pericoloso.

La propagazione

Come può un microrganismo auto-ibernarsi? Il segreto è il permafrost. Questo tipo di terreno, tipico delle regioni dell’estremo nordeuropea, della Siberia e dell’America settentrionale, è un suolo ghiacciato da almeno due anni. Comunque, esistono zone remote in cui il permafrost non scongela da secoli. La maggior parte dei microrganismi patogeni, a basse temperature, muoiono. Alcuni di loro però, riescono a rallentare i loro metabolismi come in un lungo letargo: aspettando che le condizioni tornino favorevoli. Per quanto riguarda i batteri, in condizioni di scarsa nutrizione e di un ambiente sfavorevole, svariate specie sono in grado di produrre spore. Si tratta di un rivestimento cellulare proteico molto resistente. Un danno aggiuntivo potrebbe essere causato, come accade nel film, dall’elevata velocità di mutazione nei microrganismi, soprattutto per i virus amplificandone la pericolosità.

I virus sono soggetti a mutazioni: piccole modificazioni geniche che possono sia ucciderli che renderli più resistenti e dunque più aggressivi.

La fine

Spero di non avervi fatto correre ai ripari con questa nuovo catastrofico lato dei cambiamenti climatici. Svariate volte, nel corso della storia, l’uomo è uscito vincitore dall’eterno scontro con le malattie. Basti pensare a Louis Pasteur, Walther Hess o magari anche al nostro Sam Daniels sopracitato. D’altronde i microrganismi non lo fanno apposta, cercano solo di sopravvivere. E’ necessario inoltre aver presente che loro erano  qui prima di noi e che, sicuramente, saranno qui anche dopo.

Matteo Vailati

 

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