“La Leggenda di Cristalda e Pizzomunno”
Il mare misterioso e sconfinato da sempre affascina l’uomo con la sua immensità. Racconti e leggende si celano nei suoi abissi, inghiottiti nei secoli dalle onde e poi dimenticati per sempre. Sirene dal canto ammaliante, ninfe giocose e mostri marini a sei teste appaiono ormai ai nostri occhi come echi di antichi miti. Eppure c’è chi da quei racconti è stato incantato. C’è qualcuno che ha deciso di immergersi tra i flutti marini e di scovare i segreti nascosti sui fondali oscuri, risalendo in superficie con una nuova storia da raccontare, o meglio, da cantare.
Nel 2018, in occasione del sessantottesimo festival di Sanremo, il cantautore Max Gazzè ha deciso di mettere in musica un’antica leggenda pugliese. Una storia d’amore e di sofferenza, d’attesa e di speranza. Una storia da molti dimenticata, ma ancora pulsante nel cuore della costa del Gargano, tra spiagge di sabbia dorata e segrete grotte rocciose. La leggenda di Cristalda e Pizzomunno.
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Vieste: chi era Pizzomunno?
Lungo la costa del Gargano, in corrispondenza dell’antica Vieste, si staglia sulle acque Cristalline un colossale monolite calcareo: Pizzomunno. La leggenda vuole che un tempo Pizzomunno fosse un giovane pescatore, innamorato della bella Cristalda, sua promessa sposa. Le sirene del Gargano, ammaliate dalla bellezza del giovane, tentarono in ogni modo di sedurlo col loro canto, e a seguito del suo ennesimo rifiuto decisero di punirlo. Così una notte risalirono le correnti marine fino alle spiagge di Vieste: lì afferrarono Cristalda e la trascinarono sul fondale marino. Pizzomunno tentò di salvarla con tutte le sue forze, ma quando le urla della giovane raggiunsero le stelle, capì di aver perso il suo amore per sempre. Restò pietrificato dal dolore: mutò la sua forma in quella del colosso bianco che la gente ammira da secoli.
Secondo la stessa leggenda però, non fu tutto perduto: ai due fu data la possibillità di vedersi ancora. Ogni cento anni, la notte del 15 agosto, Pizzomunno si libera dalla sua prigionia e le catene di Cristalda vengono sciolte. I due innamorati possono stringersi fino all’alba: al sorgere del sole, un altro secolo dovrà trascorrere prima del loro prossimo incontro.
Cantare una tradizione.
Max Gazzè ha deciso di farsi portavoce di una tradizione secolare. Non ha soltanto cantato una bella storia d’amore. Attraverso il canto ha impedito che la vicenda dei due innamorati precipitasse nel buio dell’oblio, per non fare più ritorno.
Duemila anni fa un poeta latino si pose lo stesso superbo obiettivo. Guardò al passato della sua terra scovando leggende e miti da molti dimenticati. Scavò nella tradizione, raccogliendo le più disparate attestazioni storico-mitiche della letteratura: da Omero ad Esiodo, da Callimaco ai poeti latini. Stese col suo ingegno e con l’ispirazione degli dei un carmen continuum, canto perpetuo che dalle origini del mondo si snoda attraverso i secoli, per giungere senza interruzioni tra le braccia del poeta in questione: Ovidio. Le sue ‘Metamorfosi‘ sono un poema di trasformazioni narrate alla maniera dell’epos tradizionale. Di esametro in esametro, Publio Ovidio Nasone narra i mutamenti di forma dei personaggi che popolano i suoi miti. E così la ninfa Diana si trasforma in un albero, della giovane Eco non rimane che la voce riecheggiante tra le rocce, la superba Aracne viene tramutata da Minerva in ragno. Tra le leggende che come quella narrata da Gazzè emergono tra le onde del mare ricordiamo quelle di Aretusa e di Scilla.
Aretusa e Alfeo: l’amore che scorre.
Ci troviamo nella parte più antica della città siciliana di Siracusa, dove uno specchio d’acqua dolce si affaccia sul mar Ionio. Qui secondo Ovidio avrebbe la sua dimora Aretusa, giovane ninfa ammirata in tutto il Peloponneso per la sua bellezza e per la sua abilità nella caccia. Secondo la leggenda, mentre si rinfrescava nelle placide acque di un fiume, Aretusa ammaliò col suo splendore Alfeo, divinità fluviale. Subito quello prese a rincorrere la fanciulla per boschi e sentieri, fino a che lei, spaventata e ansimante per la fatica, non invocò l’aiuto di Diana, sua protettrice. La dea accorse prontamente, tramutando la ninfa in una nube un attimo prima che Alfeo potesse stringerla tra le sue braccia. La trasportò poi in Sicilia, presso Ortigia: lì sciolse in mille goccie d’acqua Aretusa, che restò per sempre tramutata in fontana, tra verdi alberi rigogliosi e piante di papiro. Alfeo, disperato, chiese aiuto a suo padre Oceano, che impietosito aprì le acque dello Ionio, permettendo al fiume di raggiungere la sua amata. Aretusa, convinta da tanta insistenza, si lasciò amare: così da millenni le acque di Aretusa e Alfeo si mescolano in una grotta sotterranea, offrendo il segno tangibile di un amore fecondo.
La tragedia di Scilla e Glauco.
Glauco, figlio di Poseidone tramutato in tritone da certe erbe magiche, si innamorò perdutamente di Scilla, ninfa calabrese dagli occhi limpidi che era solita immergersi in una caletta nei pressi di Messina per rinfrescarsi. Respinto dalla giovane, il semidio si recò disperato da Circe per chiederle il suo aiuto, ma la maga si invaghì di lui. Rifiutata brutalmente da Glauco, quella decise di vendicarsi e di dannare i due all’infelicità eterna. Così mentre Scilla faceva il bagno nella sua prediletta grotta, Circe versò nell’acqua una pozione malefica che la avvelenò. Subito dai fianchi della bella ninfa spuntarono sei teste di cani ringhianti: Scilla si tramutò in un orribile mostro. Glauco pianse lacrime amare: nulla poteva fare per strappare l’amata al suo doloroso destino. Scilla, presa dall’orrore, nuotò con le sue teste di cane e le sue code di serpente fino alla grotta dove dimorava il mostro Cariddi. Lì decise di vendicarsi di Circe, e affondò i compagni del suo amato Odisseo. Prima che potesse scagliare la sua ira anche sulla flotta troiana di Enea, Scilla fu pietrificata nell’enorme masso che battezzò il comune calabrese.
Leggende vive.
I miti, come ci insegnano Ovidio e Gazzè, non sono soltanto antiche storie rinchiuse tra le pagine di manoscritti dimenticati. Sono piuttosto l’anima pulsante dei luoghi che conosciamo ed amiamo, la chiave per guardare la realtà con occhi diversi. Solo attraverso il mito possiamo commuoverci di fronte alla vista di un enorme masso bianco che attende il ritorno della sua amata. Soltanto grazie alle leggende possiamo specchiarci in una fonte ed immaginare il suo perpetuo mescolarsi con le acque dell’amato. Grazie a queste antiche storie possiamo comprendere appieno la tradizione millenaria che riecheggia in ogni grotta, in ogni spiaggia e in ogni mare della nostra amata Italia.
Daniela Ruvolo.