Limitazioni linguistiche: ecco come sono state realizzate dal Fascismo e come le ha usate Orwell

Lingua e limitazioni: perché regolamentare una lingua in un determinato periodo storico?


Manipolare una lingua equivale a manipolare le idee? Equivale a non permettere determinati pensieri o azioni? È il caso presentato in 1984, il famoso romanzo di George Orwell, dove la neolingua diventa la base di un controllo silenzioso.

Controlli e cesure: la lingua soggetta a limitazioni nel periodo fascista

Oggi il concetto di limitazione linguistica è molto lontano, talvolta anche impossibile da concepire dato che in larga scala, nel contesto europeo, si è più abituati a innovazioni che a limitazioni. Circa un secolo fa, però, non si poteva dire lo stesso. Il fascismo oltre ad agire sul piano politico e sociale aveva intaccato anche quello linguistico, proponendo una revisione del parlato e delle parole usate, in una ottica più italiana.
Tra il 1941 e il 1943 l’azione di epurazione si fece molto più fitta. Una commissione, la quale era stata nominata dall’Accademia d’Italia, aveva stilato delle liste contenenti un elenco di forestierismi di diverso genere. Anglicismi, francesismi e esotismi furono sostituiti da quelli che potevano essere considerate le corrispondenze italiane.

I problemi derivanti da questa impostazione

Il lavoro condotto dalla commissione verteva nella ricerca di una parola che potesse sostituire quella straniera, ma che lasciasse invariato il significato. Processi di questo tipo e in generale processi di traduzione non rendono mai a pieno il significato della parola originale, qualche piccola sfumatura viene sempre persa o si è costretti a ricorrere a un’espressione più lunga e intricata, che rende meno economica l’esposizione. Lo smoking diventa “giacchetta da sera” e lo slow, inteso come stile di danza, diventa “lento”. Tali esempi (è tutto tratto da Serianni, Antonelli 2017) mostrano due lati del cambiamento: il primo prevede una definizione non funzionante, abbandonata e rimpiazzata dalla voce precedente e, il secondo, un cambiamento che, linguisticamente, riesce a funzionare.

Insieme alla sostituzione, anche la letterale manomissione delle grafie: vengono introdotte vocali finali d’appoggio (alcole e non alcol, festivale e non festival), così come vengono proposte delle normalizzazioni ottenute con il solo utilizzo di lettere italiane a discapito di quelle straniere (vafer e nom wafer, iogùrt e non yogurt).

 

Il nuovo parlare di George Orwell

George Orwell dà alle pubblicazioni, nel 1949 uno dei suoi romanzi più famosi: 1984. Un occhio critico e distopico sulla società, sulle suddivisioni, sul controllo. A interessare, in questo caso, più che la trama e i sviluppi è la parte di romanzo in cui si parla della neolingua o nuovo parlare, a seconda della traduzione scelta. Questa neolingua in termini reali, non esiste. Si tratta di un’invenzione dello stesso Orwell che compie un’operazione molto sottile e mirata. La scelta di introdurre nel suo romanzo una lingua nuova dipende dalla diretta considerazione che una lingua può modificare l’assetto dei pensieri. L’obiettivo era sradicare i vecchi pensieri eretici, ovvero tutti quelli contrari al partito vigente e così da rendere impossibile l’espressione di quelle idee. Questa lingua è stata descritta dallo stesso autore e le sono state conferite delle forme e delle caratteristiche molto precise e mirate. Il fine rimaneva comunque quello del sottolineare l’oppressione del regime e l’impossibilità di esprimere idee e concetti, possibilità che viene preclusa alla radice.

Sebbene il fascismo non abbia operato sullo stesso piano ha comunque limitato l’espressione, non lasciando la possibilità di scegliere se scegliere una variante e soprattutto quale. La minaccia avvertita, quella dell’esterno e quella del diverso, trovano giustificazione in una politica accentratrice, votata al Paese.

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.