Life in plastic is (not) fantastic: quando Barbie scappa dalla perfezione per trovare sé stessa

Oggi, 20 luglio 2023, esce nelle sale italiane il nuovissimo film Barbie. L’iconica bambola della Mattel approda al cinema, con una storia inedita, in cui la tanto amata protagonista è alla ricerca di sè stessa.

Da settimane è uscito il trailer (https://www.youtube.com/watch?v=WaOn1q0PHoE) e da allora il pubblico attende impaziente, perché Barbie non è un semplice giocattolo, ma un simbolo, che unisce adulti e bambini da generazioni. Un simbolo divisivo anche, se si pensa a quanti la ritengano paladina delle rivendicazioni femminili e quanti, al contrario, la inquadrino come semplice stereotipo e canone di bellezza, che ha influito sulla salute mentale di tante adolescenti. Poco importa, perché nel film di Greta Gerwig, per la prima volta, è Barbie stessa a riprendere in mano la propria vita.

Da Barbieland al Mondo Reale

È il 1997  quando gli Aqua fanno uscire una delle canzoni più conosciute di tutti i tempi:

I’m a Barbie girl, in a Barbie world

Life in plastic, it’s fantastic.

Eppure la realtà è un po’ diversa se a raccontarsi è la stessa protagonista. La Warner Bros Italia colpisce ancora e crea un film adatto alle nuove aspettative collettive, in cui Barbie, personaggio di indiscussa fama, decide di abbandonare il proprio mondo, Barbieland, e si ritrova nel Mondo Reale. Le ragioni della dipartita della bambola, impersonata dalla bellissima Margot Robbie, stanno nella sua imperfezione. La vita fatta di plastica sarà pure fantastica, ma se non si rispettano dei canoni precisi si corre il rischio di esserne esclusi e questo è proprio ciò che accade nel film.

Così Barbie si trova a vagare, senza sapere di preciso dove andare, oltre i confini della propria patria, guidando senza meta alla ricerca di un posto in cui non sentirsi fuori luogo. Ma è proprio sulla propria vettura che scopre di essere in compagnia dell’affascinante Ryan Gosling, nei panni di Ken. I due compagni di viaggio approdano nel mondo abitato dagli umani e scoprono che felicità e perfezione non sempre coincidono. Barbie, persa tra due mondi, non si sente regina di nessuno dei due, troppo perfetta (e strana) per gli umani e troppo imperfetta per le bambole Mattel e capisce che l’unico modo per stare bene con sè stessi è capire chi si è davvero.

La costruzione della propria identità

Il percorso di Barbie è un po’ quello che compiamo tutti all’interno della nostra esistenza, un complicato tentativo di trovare noi stessi. In filosofia, per parlare della parte più profonda del proprio sé, si faceva generalmente riferimento all’anima. Da  quando Charles Darwin ci ha provato che l’uomo è un animale come tutti gli altri, le cose si son fatte di gran lunga più complesse. L’anima faceva riferimento a un universo teologico in cui l’uomo era il centro del mondo, ma che, ai nostri tempi, appare fuori portata ai più.L’anima era un pilastro, un fondamento, un qualcosa di immutabile all’interno dell’universo umano.

Ciascuno di noi cresce, il nostro corpo bambino sviluppa una forma adulta e di tanto in tanto cambiamo idea. Non c’è niente all’interno di noi che non cambi costantemente. Eppure, passeggiando per strada, sapremmo riconoscere perfettamente quel compagno delle elementari cui sedevamo accanto, pur a distanza di anni, e alle cene di famiglia nessuno ci prende per matti se, a costo di difendere maldestramente le nostre posizioni politiche, sembriamo esprimere un parere diverso da ciò che abbiamo detto poco prima. Detto in maniera più adeguata, i nostri mutamenti fisici e psicologici non impediscono che gli altri ci riconoscano sempre come gli stessi. Ecco, questo, in filosofia, viene definito il dilemma dell’identità personale: noi siamo sempre diversi, ma qualcuno da fuori sa che siamo sempre noi. Deve, perciò, rimanere qualcosa di identico in tutte le circostanze che permette di sapere chi siamo.

All’inizio della storia della filosofia questo elemento era chiaramente l’anima, ma nella nostra visione secolarizzata, si sono dovuti trovare nuovi strumenti per sopperire alla scomparsa del paradigma precedente. Ciò che, però, è necessario qui rivendicare è che le teorie più recenti sull’identità personale prendono in considerazione il ruolo di ciascuno di noi nella formazione della nostra identità. Ognuno si costruisce una propria storia, in cui gli eventi di vita hanno un significato preciso e tutto concorre a spiegare chi si è. Ciascuno di noi è alla scoperta di qualcosa che resti stabile dove tutto muta ed è per questo che ciascuno redige la propria biografia tentando di trovare delle caratteristiche stabili nel bel mezzo delle variazioni. Proprio come fa la stessa Barbie.

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“Life is your creation”

Barbie è l’emblema di una complicata costruzione di sé. Chi pensa che sia solo rosa e glamour si sbaglia! Questi sono senza dubbio evergreen, ma Casa Mattel non le ha fatto mancare proprio niente: Barbie ha oramai tutte le carnagioni, i tagli, i colori, i mestieri e persino le disabilità che si possano immaginare. Diventata astronauta, modella, vittima della pandemia da Covid-19, in carrozzina, curvy model e chi più ne ha, più ne metta, è l’opposto necessario e provocatore di una bambola fatta di perfezione. È paladina del mondo nella sua diversità e della possibilità di ogni bambina e di ogni bambino di esprimersi a pieno.

La vita di Barbie viene plasmata da chi la possiede e, nel film, la protagonista, forma sé stessa. Barbie è, infatti, la rivoluzione degli anni ’60, delle bambole create per fingersi madri e per perpetrare una concezione di famiglia tradizionale e tradizionalista, in cui il ruolo della donna come angelo del focolare pendeva sulle teste delle piccole come spada di Damocle.

Barbie è l’abbreviativo di Barbara, la figlia dell’inventore del celebre marchio Mattel, Elliot Handler. La mamma di Barbara, Ruth, notò che la figlia aveva l’abitudine di ritagliare delle immagini dalle riviste per impersonare tramite loro ruoli da adulta. Così nacque il giocattolo più celebre di tutti i tempi. Barbara proprio non voleva giocare a quelle bambole rappresentanti bambini e neonati, lei voleva una vita su misura. Barbie assume, perciò, non solo un valore etico, in quanto prima bambola creata come ribellione allo stereotipo della donna che sogna la maternità sin dall’infanzia, ma anche come vera e propria rivoluzione del gioco di ruolo.

Non bisogna, infatti, dimenticare il significato del role game nella creazione di sé. La nostra identità viene anche plasmata dalle modalità con cui prendiamo parte ad esso e dalle reazioni degli altri giocatori alle scelte dei bambini. Il modo di crescere dei più piccoli dipende anche dal gioco e dalle modalità creative con cui vi si approcciano durante l’infanzia. Il gioco di ruolo è necessario per la creazione dell’identità personale, perché tramite esso gli adulti trasmettono valori e proibizioni, ma lasciano anche libera la fantasia del piccolo e gli danno la possibilità di scoprire autonomamente le proprie inclinazioni.

Inutile dire, perciò, che, a differenza delle bambine degli anni ’50, le generazioni che hanno avuto l’opportunità di giocare con Barbie sono state liberate dal peso di tanta parte delle aspettative sociali e cresciute nella consapevolezza che si può essere chi si vuole, se siamo noi a scegliere il nostro personaggio e ad accettarne le conseguenze. Barbie ci ha insegnato che la perfezione non esiste, grazie al contributo di una casa di produzione che ha saputo rendere la bambola sempre inclusiva e al passo coi tempi. Appaiono lontani e tramontati gli anni in cui Barbie era solo una bionda dalle misure perfette, a cui le bambine facevano di tutto pur di somigliare, e il film della Warner Bros non fa che dimostrarlo.

Chi ha giocato con Barbie sa che la felicità sta proprio nel costruirsi ogni giorno, per ciò che si è e per ciò che si vuole essere. La gioia sta a metà tra Barbieland e il Mondo Reale, in un luogo imprecisato in cui ognuno non è altro se non il proprio personaggio e in cui, per tornare agli Aqua,

Imagination, life is your creation.

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