“Il cambiamento climatico rischia di mettere fine all’umanità”. Ecco il campanello d’allarme lanciato dall’Onu, che fa tremare tutti noi.
Un riscaldamento climatico globale al di sopra della soglia fissata dall’Accordo di Parigi sul clima avrebbe impatti irreversibili sui sistemi umani. C’è una forte correlazione tra rispetto dell’ambiente e del clima e diritti umani. Perché quest’emergenza minerebbe l’esistenza di diritti umani fondamentali e positivi, come il diritto al cibo, ad un ambiente dignitoso e salubre, oltre che al godimento del più alto standard di salute possibile. Importante è anche la correlazione tra emergenza climatica e migrazioni. Insomma, un problema non da poco.
Diritti umani e ambiente: cosa prevede il diritto internazionale
Il primo riconoscimento del legame tra l’ambiente ed i diritti umani si è avuto nel 1972, quando nell’ambito della Conferenza di Stoccolma è stata adottata la Dichiarazione delle Nazioni Unite sull’ambiente umano. L’articolo 1 della Dichiarazione dice: “L’uomo ha un diritto fondamentale alla libertà, all’uguaglianza e a condizioni di vita soddisfacenti, in un ambiente che gli consenta di vivere nella dignità e nel benessere. Egli ha il dovere solenne di proteggere e migliorare l’ambiente a favore delle generazioni presenti e future”. L’importanza di tale riconoscimento risiede nella possibilità di individuare una componente ambientale nella protezione dei diritti umani, che dunque entra a far parte degli obblighi esistenti in capo agli Stati di rispettare, proteggere e realizzare ciascun diritto. La tutela dell’ambiente viene collegata a numerosi diritti umani, tra cui il diritto alla vita, il diritto alla salute, il diritto all’acqua, il diritto al cibo, il diritto alla vita familiare, il diritto all’informazione, il diritto all’abitazione, il diritto a un adeguato standard di vita, nonché ai diritti cosiddetti culturali relativamente ai popoli indigeni. Il collegamento è stato operato attraverso l’interpretazione delle organizzazioni internazionali, delle organizzazioni non governative e delle corti internazionali. Potendo menzionare soltanto gli interventi più significativi, occorre ricordare il Commento Generale n. 14 del Comitato internazionale sui diritti economici, sociali e culturali che, nell’interpretare il contenuto del diritto al miglior standard di salute garantito dall’articolo 12 dell’omonimo Patto, ha specificato che esso include il diritto a un ambiente salubre. A questo ha fatto seguito il Commento Generale n. 15 che, nel riconoscere l’esistenza di un autonomo diritto all’acqua, come parte integrante del diritto ad un adeguato standard di vita, ha posto l’esigenza di proteggere i corsi d’acqua ed i bacini idrici dall’inquinamento e dallo sfruttamento incontrollato al fine di assicurare l’accesso all’acqua anche alle future generazioni. Oltre alla tutela indiretta dell’ambiente tramite il ricorso a diritti generali dell’uomo, si possono individuare una serie di diritti di natura procedurale specificamente collegati all’ambiente. Tali diritti sono stati per la prima volta delineati nella Dichiarazione di Rio del 1992 e comprendono il diritto all’informazione e il diritto alla partecipazione al processo decisionale, in riferimento a questioni ambientali, e il diritto all’accesso alla giustizia in collegamento al rispetto dei primi due. Occorre a questo punto precisare che incorporare il diritto all’ambiente nel sistema di tutela dei diritti umani rappresenta un risultato importante, ma inevitabilmente limitato. La protezione dei diritti umani è per definizione incentrata sugli individui, a parte rari casi in cui comprende determinati gruppi di persone, come i popoli indigeni. In altri termini, la possibilità di azionare la tutela del diritto all’ambiente rimarrebbe in ogni caso limitata alle iniziative dei singoli per pretendere il rispetto da parte dei propri Stati degli obblighi internazionali e, in ogni caso, sarebbe ammissibile solo ove sia possibile provare il nesso di causalità tra l’azione o l’omissione dello Stato e la lesione subita dall’individuo. Ciò è particolarmente complesso, per non dire impossibile allo stato attuale, per quanto riguarda i danni causati dai cambiamenti climatici. Per essi la scienza ha ricostruito un collegamento con l’azione dell’uomo che non è sufficiente per determinare il sorgere della responsabilità statale per violazione dei diritti dell’uomo.
L’emergenza climatica e le conseguenze sui diritti umani
Il cambiamento climatico è considerato uno dei maggiori attori di disuguaglianze e ingiustizie nel mondo. Ci sono migliaia di attivisti attaccati, ostacolati e a volte persino uccisi in tutto il mondo a causa del loro impegno a tutela dell’ambiente, le decine di conflitti che nascono in territori con scarse risorse dove il cambiamento climatico esacerba la competizione tra etnie e nazioni confinanti, ma anche le aggressioni mediatiche ai più giovani (come quelle ricevute da Greta Thunberg) responsabili di aver chiesto a gran voce la prevenzione del danno che la loro generazione potrebbe subire. Il cambiamento climatico è una realtà che colpisce ogni regione del mondo. Le implicazioni umane del livello di riscaldamento globale attualmente previsto sono catastrofiche. Le tempeste stanno diventando più forti e le maree potrebbero sommergere intere nazioni insulari e città costiere. Non solo, vi sono anche delle implicazioni sociali e umanitarie dei cambiamenti climatici. L’emergenza climatica sta già determinando un forte aumento della fame globale, che secondo la FAO quest’anno è aumentato per la prima volta in un decennio. L’OMS si aspetta che i cambiamenti climatici causino circa 250 mila decessi in più ogni anno tra il 2030 e il 2050, a causa della malnutrizione, della malaria, della diarrea e dello stress da calore. In molte nazioni, i violenti fenomeni meteorologici e altre manifestazioni della nostra emergenza ambientale stanno già invertendo importanti progressi nello sviluppo; esacerbano i conflitti, gli sfollamenti e le tensioni sociali; ostacolano la crescita economica; e modellano disuguaglianze sempre più radicali. Secondo alcune analisi, vi sarà una situazione in cui i ricchi pagheranno per sfuggire alle temperature estreme e alla fame causate dalla crisi del clima mentre il resto del mondo è destinato a subirne le conseguenze. Questo incrementerà ulteriormente le diseguaglianze. I cambiamenti climatici minacciano di azzerare gli ultimi 50 anni di progressi sui diritti umani e sulla riduzione della povertà globale e mettono a rischio anche la democrazia e i diritti civili di base. C’è il rischio che lo scontento delle popolazioni, causato dalla crescente disuguaglianza, sia carburante per nazionalismo, xenofobia e razzismo. Sarà sempre più difficile in queste situazioni garantire e i basilari diritti civili.
Gli Accordi di Parigi: medicina o “aria fritta”?
L’accordo di Parigi è il primo accordo universale e giuridicamente vincolante sui cambiamenti climatici, adottato alla conferenza di Parigi sul clima (COP21) nel dicembre 2015. L’UE e i suoi Stati membri sono tra le 190 parti dell’accordo di Parigi. L’UE ha formalmente ratificato l’accordo il 5 ottobre 2016, consentendo in tal modo la sua entrata in vigore il 4 novembre 2016. Affinché l’accordo entrasse in vigore, almeno 55 paesi che rappresentano almeno il 55% delle emissioni globali hanno dovuto depositare i loro strumenti di ratifica. Esso stabilisce un quadro globale per evitare pericolosi cambiamenti climatici limitando il riscaldamento globale ben al di sotto dei 2ºC e proseguendo con gli sforzi per limitarlo a 1,5ºC. Inoltre punta a rafforzare la capacità dei paesi di affrontare gli impatti dei cambiamenti climatici e a sostenerli nei loro sforzi. I governi hanno concordato di riunirsi ogni 5 anni per valutare i progressi collettivi verso gli obiettivi a lungo termine e informare le parti affinché aggiornino e migliorino i loro contributi determinati a livello nazionale, di riferire agli altri Stati membri e all’opinione pubblica su cosa stanno facendo per realizzare l’azione per il clima e di segnalare i progressi compiuti verso gli impegni assunti con l’accordo attraverso un solido sistema basato sulla trasparenza e la responsabilità. Successivamente, sempre i governi sono unanimi nel voler rafforzare la capacità delle società di affrontare gli impatti dei cambiamenti climatici e fornire ai paesi in via di sviluppo un sostegno internazionale continuo e più consistente all’adattamento. L’accordo, infine, riconosce l’importanza di scongiurare, minimizzare e affrontare le perdite e i danni associati agli effetti negativi dei cambiamenti climatici e la necessità di cooperare e migliorare la comprensione, gli interventi e il sostegno in diversi campi, come i sistemi di allarme rapido, la preparazione alle emergenze e l’assicurazione contro i rischi. Purtroppo, però, a sei anni di distanza, la comunità scientifica evidenzia come i leader mondiali non stiano mantenendo gli impegni presi a Parigi. L’aumento medio della temperatura è già pari a 1.2 gradi. Ad oggi, solo tre nazioni hanno approvato un piano per ridurre le proprie emissioni di CO2 a un livello coerente con la limitazione del riscaldamento globale a 1,5 gradi centigradi. E stiamo parlando di Marocco, Costa Rica e Gambia. L’obiettivo dell’Accordo di Parigi è considerato un traguardo ambizioso, ma in realtà significherebbe fermarsi sull’orlo del baratro. Quand’anche fossimo miracolosamente in grado di raggiungerlo (al momento dovremmo avere una probabilità del quattro o cinque per cento) vivremo in un mondo molto meno ospitale di quello che conosciamo e molti dei cambiamenti in corso, come abbiamo visto in uno degli ultimi post sul blog, saranno nella migliore delle ipotesi irreversibili.