Se la morte è uno dei concetti di cui si ha più paura, accostata, come tutto ciò che ci sfugge, da una sconcertante curiosità, la sua estensione al nostro pianeta non è certamente da meno. Si parla da sempre di Apocalisse, di Fine del mondo, come di qualcosa di straordinario, di catastrofico e onnipervasivo, dell’atto ultimo, della fine in senso più proprio, che, ad esempio, per Anastasio, rapper-cantautore emergente nel mondo della musica, è un rave con impianti pazzeschi sotto lo sgretolarsi della Cappella Sistina. E dopo? Non possiamo cogliere quello che si trova al di là della finitezza, non si può scorgere l’infinito, che, in questo caso, ci immaginiamo in simbiosi con il Nulla cosmico del fine vita, ma tendiamo ad immaginarlo. Arriviamo ad un certo punto e sentiamo di non poterci spingere oltre, è una propensione naturale e spontanea che Kant delinea come costitutiva dell’uomo in sé. Analizziamo la figura dell’Eschaton per il filosofo di Königsberg e ascoltiamo cosa ha da dire in proposito il concorrente di X Factor 2018.
La Fine di tutte le cose
Immanuel Kant affronta il problema dalla fine del mondo in un piccolo trattato del 1794 intitolato “La fine di tutte le cose”. Nel testo Kant parla della Fine del mondo come il passaggio da una dimensione temporale di finitezza e regolarità all’immanenza dell’eternità, dal tempo all’eterno, che non è solo un procedere infinito, uno scorrere illimitato ma un concetto indefinito, di una ‘grandezza del tutto incommensurabile rispetto a quella del tempo’, che si inserisce nella dimensione dell’ignoto, dell’inconoscibile, tra gli abissi inaccessibili del noumeno. Un pensiero questo, dice Kant, che accoglie in sé sia il terrore che la profonda attrazione, un’immensità oscura ma ardente che si inserisce perfettamente nella cornice concettuale dell’essenza kantiana del Sublime, un sentimento disarmante che affascina e intimorisce, che ammalia e inebria ma con turbante riserva. A questo punto l’indagine kantiana si sofferma su cosa succerà al genere umano dopo l’ultimo attimo, esponendo due linee di pensiero contrapposte: quella dei monisti, che immaginano per tutte le anime un futuro di beatitudine e quella dei dualisti, dalla cui parte egli si schiera, sebbene sostenendo le irrisolvibili difficoltà del dualismo sul piano teologico-religioso, che diffondono l’idea di un Giudizio Universale selettivo di beati dai dannati. Dopo questa parentesi Kant torna a delineare le sue teorie riguardo a questa Escatologia trascendentale, come la definisce Jacob Taubes, rispondendo al perché gli uomini si aspettano una fine del mondo e del perché essa debba essere necessariamente terrificante. La prima questione, per chi conosce il pensiero critico kantiano, ha una risposta quasi banale, che risiede nella ricerca razionale di finalismo nel mondo fenomenico, una prospettiva teleologica senza la quale la creazione stessa sarebbe come un’opera teatrale priva del finale, e come tale senza scopo, senza ragione. Il secondo problema si risolve nell’affermare la corruzione del genere umano in sé, che merita per sua culpa un finale che rispecchi la sua natura, drastico e disastroso, per colpa de “l’ingiustizia, l’oppressione dei poveri a causa della smodata tracotanza dei ricchi e la generale perdita di lealtà e fiducia”. Dopo aver visto nel degrado della civiltà umana un comprensibile segno dell’avvento dell’Apocalisse, Kant valuta la possibilità che in realtà LA fine di tutte le cose possa coincidere con IL fine di tutte le cose e che l’unica speranza per l’uomo, è raggiungere la salvezza accrescendo la sua moralità con la rinuncia alla sua smodata e irrequieta opulenza.
Anastasio e il Giudizio Universale
Concorrente ormai famoso tra e fuori il palco di X Factor 2018, Marco Anastasio viene definito il corto-circuito del programma, un artista ibrido, tra il rapper e il cantautore, con una poetica disarmante e una capacità di incastrare sillabe e immagini che non ha eguali nel mondo musicale odierno, che avanza nella gara fino ed oltre l’esibizione del suo inedito, lasciando tutti letteralmente a bocca aperta. Il singolo si intitola La fine del mondo e parla, citando l’autore, “della costante ansia verso le cose normali a tal punto da preferire emozioni più vere e forti affinché la fine, se proprio deve arrivare, sia qualcosa di eccezionale”. Un testo che delinea una climax protesa verso un finale potente ed evocativo, dove Anastasio immagina una folla che salta all’unisono fino a spaccare i marmi e crepare gli affreschi, guidata dal suono di un impianto con bassi pazzeschi sotto le luci dei riflettori alla Cappella Sistina, vede il Giudizio Universale sgretolarsi in coriandoli e San Pietro che crolla su una folla danzante di vandali verso i quali si dirige un meteorite. Un testo considerato dalle critiche adatto come parallelismo al Leopardi della Ginestra, dalle immagini che incarnano tutta la potenza del pessimismo cosmico di un genere umano che galleggia nella disillusione, che vuole una rivalsa, e che trova una fine spettacolare, degna del segno che ha lasciato.
Samuele Beconcini