Stimolando l’ipotalamo, struttura adibita alla produzione del neurotrasmettitore
Una nuova scoperta
I traumi, episodi particolarmente spaventosi, non sono facili da superare, e a volte possono diventare talmente radicati nella memoria da condizionare chi li ha vissuti generando ansia e fobie.
Finora si credeva che i ricordi legati alle paure nascessero e venissero archiviati in strutture del cervello superiori ed evolute, come l’ippocampo, ma ora si è visto come nella nascita dei “brutti ricordi” siano coinvolte anche strutture primitive e che si sono conservate nel corso dell’evoluzione, come l’ipotalamo.
Lo dimostra uno studio pubblicato su Neuron da un team di ricerca internazionale guidato dal Prof. Mazahir T. Hasan. La tecnica di analisi genetica adoperata ha permesso di individuare e manipolare i neuroni dell’ipotalamo che producono l’ossitocina e che giocano un ruolo di primo piano sia nella nascita dei ricordi legati alle paure, sia nella capacità di richiamarli.
Lo studio
Queste cellule adibite alla produzione dell’ossitocina sono collegate con il nucleo dell’amigdala, che ha un ruolo chiave nell’espressione della paura. Opportunamente marcate, sono state rese capaci di esprimere proteine in grado di far riprendere l’attività neuronale quando stimolate con la luce attraverso fibre ottiche (fotostimolazione optogenetica).
In particolare si è osservato come, in cavie addestrate ad associare una memoria negativa a un particolare contesto – e che quindi reagiscono alle situazioni traumatiche con il “freezing” (la tipica risposta alla paura, che probabilmente abbiamo provato qualche volta anche noi, di quando ci si trova in un ambiente potenzialmente pericoloso dal quale è impossibile scappare) – l’attivazione dei neuroni ipotalamici produttori di ossitocina induca l’animale a riprendere a muoversi normalmente: “sconfiggendo” in un certo senso la paura ed eliminando l’effetto-paralisi.
In parole semplici, negli animali sperimentali è stato possibile bloccare l’espressione del freezing durante tutto il periodo in cui i neuroni etichettati sono attivati. L’immobilità al contrario riprende appena la fotostimolazione viene interrotta.
I possibili impieghi
Questa scoperta può rappresentare una svolta significativa nelle neuroscienze: implica infatti uno scostamento dal dogma principale che sostiene come la memoria associata a un contesto si formi principalmente nell’ippocampo, per essere poi “trasferita” e immagazzinata nella corteccia cerebrale. Una visione che sottovaluta l’importanza di altre strutture cerebrali più antiche dal punto di vista evolutivo, come l’ipotalamo, anch’esso capace di riorganizzare in modo dinamico i propri circuiti per consentire la formazione e l’immagazzinamento della memoria.
La comprensione anatomo-fisiologica dei circuiti che sottendono la memoria della paura favorisce lo sviluppo e l’utilizzo di strategie innovative per trattare disordini psichiatrici in continuo aumento nella società odierna, come l’ansia generalizzata e il disturbo da stress post-traumatico (PTSD), in cui la paura si trasforma da grande risorsa per la sopravvivenza a fenomeno patologico.
Umberto Raiola