”Non manca mai a nessuno una buona ragione per uccidersi”
cit. Cesare Pavese
Così come le dipendenze da droga e alcool, un aspetto comune nelle vite dei grandi della letteratura è proprio la fine di queste. Non sono pochi infatti gli autori che hanno preso la via del suicidio, mossi dalla mancanza di una via d’uscita alternativa dalle loro difficoltà. Le cause vanno ricercate nelle pene d’amore, nella depressione, nelle personalità tormentate, nelle ferite mai rimarginate o anche nel fascino della morte. Le modalità sono tra le più disparate, alcune hanno una certa sfumatura poetica che le fa sembrare scelte appositamente per chi ha deciso di attuarle. Nel Decameron Boccaccio contrappone la novella alla morte, attribuendo alla letteratura un valore salvifico che a quanto pare non è bastato per gli scrittori e i poeti di questa lista. Perché la loro arte non è riuscita ad anestetizzare del tutto la loro cruda realtà? Cosa spinge un artista, che dovrebbe liberarsi dalle sue frustrazioni e dal suo dolore attraverso la sua arte, a compiere un gesto così disperato? Cercheremo di rispondere a questi interrogativi con un approccio alla materia sensibile e rispettoso, elencando quelle che sono state le ragioni e i modi di farla finita di questi sei autori famosi, soprattutto italiani. Non siamo qui per giudicare ma per comprendere, consapevoli che indipendentemente dalla loro decisione, il loro talento e il loro lavoro li rende immortali.
1) Primo Levi (1919-1987)
“Tutti coloro che dimenticano il loro passato, sono condannati a riviverlo”
Primo Michele Levi è un orgoglio della letteratura italiana e mondiale. Laureato in chimica, fu arrestato in Valle d’Aosta perché partigiano antifascista il 13 Dicembre 1943. In un primo momento fu portato a Fossoli in un campo di lavoro e nel Febbraio dell’anno seguente ad Auschwitz. Sopravvissuto alla terribile esperienza del lager si impegnò a tenere viva la memoria delle atrocità subite con opere come Se questo è un uomo e La tregua. L’11 Aprile 1987 si getta dalla tromba delle scale della sua abitazione a Torino. L’ipotesi più accreditata è quella del suicidio in contrasto con la teoria secondo la quale si sia gettato per le vertigini. Lo scrittore dichiarò di aver ricevuto un “dono avvelenato“, quello di dover raccontare la sua esperienza e quindi riviverla ogni volta, questo lo portò alla depressione.
2) Virginia Woolf (1882-1941)
“Talvolta penso che il paradiso sia leggere continuamente, senza fine”
Un tassello importante nel mosaico della letteratura londinese, Adeleine Virginia Woolf ha scritto pricipalmente romanzi, tradotti in oltre cinquanta lingue come La signora Dalloway, Orlando e Gita al faro. È stata anche un’attivista impegnata nella lotta per la parità dei sessi e del suffragio. Questo impegno lo inserisce nelle sue opere descrivendo le condizioni in cui versavano le donne nella sua epoca come nel romanzo Una stanza tutta per sé. Affetta da depressione, era vittima di crisi sempre più violente e pericolose nei momenti di solitudine e nei tipici sbalzi d’umore. Con l’avanzare della guerra, la sua ansia peggiorò e il 28 Marzo 1941 si riempì le tasche di sassi e camminò in acqua fino ad esserne sovrastata. La morte sopraggiunse per annegamento vicino casa sua, nel fiume Ouse.
3) Cesare Pavese (1908-1950)
“Io trovo molto bello questo maltrattarci insaziabile […] siamo una bellissima coppia discorde”
Cesare Pavese è uno dei più grandi intellettuali italiani del XX secolo, vincitore del Premio Strega e corrispondente di lettere dallo stile inconfondibile.
Oltre ad essere autore di romanzi e poesie, attraverso il lavoro di critico ha contribuito alla diffusione del concetto di sogno americano negli anni ’30. La militanza nell’editoria Einaudi gli permise di scrivere riguardo temi raramente trattati in Italia come marxismo e idealismo, ma anche tematiche religiose, psicologiche ed etnologiche. Al suo ultimo amore perduto, l’attrice statunitense Costance Dowling, scrisse Verrà la morte e avrà i tuoi occhi. Questa delusione amorosa incrementò la sua depressione che qualche mese dopo lo condusse ad ingerire dieci bustine di sonnifero sul letto della sua camera all’Hotel Roma di Torino.
4) Yukio Mishima (1925-1970)
“Dal punto di vista del destino, vivere è come essere frodati”
Yukio Mishima è lo pseudonimo di Kimitake Hiraoka, uno scrittore, poeta, saggista e drammaturgo giapponese. Nazionalista e artista marziale, ha riscontrato successo anche come attore e regista cinematografico. Le sue opere vanno da romanzi a riadattamenti di opere del teatro tradizionale giapponese in chiave moderna. Riscosse immediato successo anche all’estero, uno dei pochi autori giapponesi a raggiungere questo traguardo. Decise di unire la sua ossessione per la morte a livello personale e artistico con il suo sentimento patriottico. Il 25 Novembre del 1970 insieme ai quattro fidati membri del Tate no Kai, un gruppo paramilitare guidato da lui, occupa l’ufficio del generale Mashita dell’esercito di autodifesa. Dal balcone pronuncia un discorso solenne sull’impero giapponese e condanna la subordinazione del sentimento nazionalista alla democrazia e all’occidentalizzazione. Con la fine del discorso finì anche la sua vita tramite rituale del suicidio samurai seppuku che consiste nel tagliarsi il ventre e farsi decapitare. Questo gesto ha dato un forte spessore al suo personaggio nell’immaginario della letteratura.
5) Emilio Salgari (1862-1911)
“Scrivere è viaggiare senza la seccatura dei bagagli”
La citazione racchiude perfettamente tutta la poetica di Salgari. Ci ha fatto viaggiare in luoghi esotici abitati dai pirati come in Sandokan, o nel futuro come in Le meraviglie del duemila. Scrittore prolifico e innovativo Emilio Carlo Giuseppe Maria Salgari vanta la produzione di circa 200 opere da cui sono state tratte trasposizioni sia per il grande che per il piccolo schermo. È l’ennesima conferma del talento letterario italiano, la sua figura e i suoi lavori hanno influenzato la cultura di massa. Nonostante la fama, su di lui gravava una pesante situazione economica che alimentava una depressione dovuta a vicende personali e famigliari. Il suo è uno dei numerosi casi di artisti che muoiono in condizioni economiche critiche. Tentò di suicidarsi la prima volta nel 1909, in un modo molto scenico: lanciandosi su una spada. Questo avvenimento segnò profondamente la salute psicologica di sua moglie, che fu ricoverata in un ospedale psichiatrico. Al secondo tentativo Salgari si reca in un bosco di Riva Valley vicino Torino e si taglia il ventre e la gola con un rasoio, cercando di imitare il rituale di suicidio dei samurai. La sua passione per l’oriente la impiega anche nella sua morte.
6) Sylvia Plath (1932-1963)
“Sono sempre stata e mi son sempre sentita come un libro aperto, circondato da analfabeti”
È stata una scrittrice e poetessa statunitense ricordata oltre per le sue bellissime poesie, anche per il suo romanzo semi-autobiografico The Bell Jar, scritto sotto lo pseudonimo di Victoria Lucas. È stata una promotrice del genere della poesia confessionale insieme ad Anne Sexton. Soffriva di una grave forma di depressione che la portò a compiere il primo tentativo di suicidio nel penultimo anno di college. Dopo un mese dalla pubblicazione del suo romanzo l’11 Febbraio 1963, la poetessa scrisse la sua ultima poesia Orlo, preparò pane e burro e due tazze di latte per i suoi figli, sigillò porte e finestre e mise la testa nel forno. Secondo alcuni studiosi l’intenzione non era quella di suicidarsi ma di chiedere aiuto, sapendo che quella mattina l’avrebbe visitata una ragazza australiana a cui lasciò un biglietto con scritto il numero del suo medico e le parole “per favore chiamate il dottor…”