Messico, tra delitti e filosofia della violenza nell’opera dello scrittore Roberto Bolaño

Le violenze, i delitti e la giustizia nel Messico degli anni Settanta-Ottanta raccontati da Roberto Bolaño, il poeta e scrittore cileno naturalizzato messicano.

L’edizione spagnola de I detective selvaggi, una delle opere più importanti di Bolaño

Autore tra i più importanti e forse tra i più sottovalutati degli ultimi cinquant’anni, Roberto Bolaño incanta con la sua prosa magistrale e a quasi vent’anni dalla sua morte continua ad affascinare i suoi sempre più numerosi lettori, catapultandoli nell’atmosfera magica del Messico anni Settanta. Tra le sue opere principali ricordiamo I detective selvaggi, che lo stesso scrittore definì una ”lettera d’amore” alla sua generazione: settecento pagine in cui Bolaño creava una struttura narrativa completamente nuova. O 2666, il romanzo fatto di quattro romanzi, e Puttane assassine, una raccolta di tredici racconti tra surrealismo, deserti messicani e solitudine. E moltissimi altri ancora. Autore brillante, innovativo e giocoso, Bolaño sarebbe definito da Borges come il detentore di una biblioteca che è una ”sala di lettura dell’Inferno”. Infatti, insieme ai temi dell’infrarealismo, della gioventù messicana scapestrata, dell’entusiasmo letterario e politico di una generazione, si fanno strada in Bolaño anche i temi della violenza che già allora imperversavano per tutto quanto il Messico.

Un realismo confidenziale

Mentre la letteratura sudamericana si faceva conoscere nel mondo con i nomi di Gabrièl Garcìa Marquèz e della corrente magico-realista, Bolaño mostrava una realtà che al maravilloso voleva sostituire una cruda confidenzialità. Realismo confidenziale, così infatti lo definisce Raveggi in un suo saggio: quel portarti di Bolaño, ”familiarmente e sottobraccio, a veder cose segrete e terribili”. ”La violencia” diceva lo scrittore cileno nella poesia Patricia Ponses como la poesia: no se corrige”. E cioè, la violenza non va nascosta dietro alla finzione letteraria. Mostrare gli orrori della dittatura, del nazismo, e molto spesso della natura umana, è ciò che fa Bolaño nella sua opera: un Bolaño che aveva visto da vicino il colpo di Stato di Pinochet e che vedeva stupri, violenze e omicidi distruggere senza sosta il Messico e rimanere impuniti. Ciò che invece li rende sostenibili da un punto di vista letterario è la sua prosa disinvolta, quella di un eterno ragazzino che sogna di diventare scrittore.

Un autoritratto di Bolaño

Rappresentare il male

Per Bolaño non c’è altra opzione che mostrare l’orrore e il male, e farlo nella maniera eccessiva che merita: l’immaginario apocalittico è l’unico che renda giustizia all’America Latina degli anni Settanta, esplorata in romanzi come Notturno cileno e Stella distante. Così dice Edmundo Paz Soldàn in un’introduzione all’autore, quando definisce Bolaño come l’unico scrittore ad aver ”guardato in faccia, e nello stesso tempo con tanta poesia, l’aria rarefatta che si respirava nel Cile di Pinochet”. Ma la violenza non si manifesta solo come violenza fisica, effettiva: violenza è anche il silenzio. E Notturno cileno è proprio la confessione della persona civilizzata che con il suo silenzio ”è complice dell’orrore”; insomma è il romanzo della complicità della letteratura e della cultura colta con l’orrore latinoamericano. Rappresentare il male di contro alla corrente principale dell’epoca diventa la fede assoluta di Bolaño, che come un importante giornalista di cronaca dell’epoca ha confessato più volte, era ossessionato dai dettagli dei delitti che mentre lui era a Barcellona continuavano ad avere luogo in Messico, poiché voleva riportarli così com’erano nei suoi romanzi. E così ha fatto.

Roberto Bolaño (1953-2003)

Ciudad Juarez

Di particolare interesse per Bolaño era Ciudad Juarez, che nelle sue opere deve prendere il nome fittizio di Santa Teresa, la città dove da anni si ritrovavano i cadaveri di donne stuprate e poi ammazzate malamente. Ma Santa Teresa non è solo una città: è il luogo dove confluisce tutto il XX secolo. Le donne venivano violentate e uccise, i loro corpi abbandonati per la città o nel deserto, e la polizia, dopo aver arrestato un uomo qualunque, tornava a dormire nel suo ufficio, convinta di aver fatto la propria parte. ”Alcune strade” scrive Bolaño nelle ultime pagine de La parte dei delitti in 2666erano completamente buie, come buchi neri”: e questi ”buchi neri” non sono che la sconfitta della legge, la sconfitta della civiltà. Chiediamoci, allora, se continuiamo a tacerli anche oggi.

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