Se dovessimo dare una definizione di noi stessi, ossia se dovessimo chiederci chi realmente siamo, cosa potremmo dire? Il problema dell’essere, inteso come esistenza e convivenza di un individuo con se stesso, costituisce una tra le questioni fondamentali della filosofia. Il videogioco Life is Strange, incorporandola a pieno, inscena una spinta alla ricerca dell’identità e, con essa, della felicità.
La vita è strana, così come le persone, le emozioni, gli eventi. Se dovessimo dare una definizione di noi stessi, ossia se dovessimo chiederci chi realmente siamo, cosa potremmo dire? Il problema dell’essere costituisce una tra le questioni fondamentali della filosofia. Nonostante ciò, però, alla domanda di cui sopra non è mai stata trovata una risposta univoca. In breve, esiste un problema di fondo che sembra anticipare ogni altro dilemma della vita: quello dell’esistenza di un individuo con se stesso, della convivenza col proprio io.
Life is Strange, opera di cui abbiamo già parlato in passato, riesce a descrivere al meglio questa dinamica di convivenza, di spinta alla ricerca di un’identità – e, con essa, della felicità. Pubblicato a episodi a partire dal gennaio 2015, il videogioco targato Dontnod Entertainment consiste in un titolo adatto a far sentire il suo giocatore “omogeneo in una società che spinge per le diversità, per le categorie, per i paragoni”, come scritto da Mirko Rusciano in My Reviews. Così, rivediamo in Maxine Cauldfield, la protagonista, e in Chloe Price, la sua migliore amica, due personalità opposte, decisamente conflittuali, ma in cui riusciamo al contempo a identificarci.
Un’originale banalità
Life is Strange non può dirsi prettamente un’opera originale; al contrario, la sua trama si dimostra piuttosto classica, basandosi su quei modelli stereotipati che viviamo quotidianamente. Nondimeno, è proprio una simile accezione a renderlo degno di nota: grazie a una banalità paradossalmente originale, esso consente al player di rivedersi completamente nei suoi personaggi, “un po’ tutti tormentati e un po’ tutti felici”. Il capolavoro Dontnod fa sì che il suo giocatore si approcci alle scelte nei modi più diversi, dimostrandogli quanto risulti facile, talvolta, vivere rapporti sociali con eccessiva leggerezza. Max e Chloe manifestano tra loro un legame intenso, che è stato tuttavia compromesso da una distanza dapprima geografica, in seguito emotiva.
La tematica del tempo: la convivenza come unica soluzione possibile
Maxine, trasferitasi in un nuovo quartiere dell’immaginaria città di Arcadia Bay, ha iniziato a relazionarsi in modo differente con l’amica, la quale ha sofferto a causa di un simile cambiamento. Destino vuole che il loro rincontro, all’interno dei bagni della scuola, si marchi della morte di Chloe, un accadimento che Max non può in alcun modo cambiare. Eppure, grazie alla capacità della protagonista di riavvolgere il tempo, le due amiche non si danno per vinte, tentando più e più volte di alterare il corso degli eventi. Da ciò si comprende come il loro legame si componga di un sentimento che risultava soltanto sopito, oscurato da sensi di colpa e rancore. Il punto, però, è che la morte di Chloe non redime la protagonista, ma la rende unicamente consapevole di quanto tempo abbia sprecato.
Il gioco, di fatto, ruota attorno alla tematica del tempo, che consente alla giovane di “recuperare il passato” e di migliorare il futuro. Maxine gestisce la sua vita in modo da non trascurare più Chloe, ma tutto ciò assume soltanto la forma di un bel sogno, che, alla stregua di ogni esperienza onirica, è destinato a terminare con un brusco risveglio. Appunto, il finale risulta diverso da quanto sperato: la protagonista può unicamente imparare a convivere con il proprio errore, con se stessa e con un sentimento che, dato per scontato, consisteva invece in una potenza incredibile.
Questo è ciò che Life is Strange intende insegnare, ossia che “non bisogna voler cercare la felicità nelle cose diverse o nuove, ma in tutte le cose, soprattutto quelle che si hanno davanti […] così come non bisogna dormire sugli allori del proprio ego e dell’abitudine che scaturisce dalla quotidianità” (Mirko Rusciano). Il videogame di Dontnod Entertainment rappresenta una parabola dell’esistenza che si fonda sull’essenzialità, un modo come un altro per dire che la felicità, da noi considerata un qualcosa di complesso, non deriva necessariamente da cose complesse, ma al contrario dalla semplicità di un momento, di un attimo. La vita è strana...
– Simone Massenz