La cultura è stata sostituita dal denaro? Le risposte arrivano da Simmel e Seneca

A cavallo tra “La Filosofia del denaro” di George Simmel e “otium-negotium” romano: excursus sulla funzione spersonalizzante del “Dio Denaro” e come l’otium ha perso la sua forza educatrice in alcune realtà del sistema scolastico italiano.

La logica matematico-scientifica ha inquinato la vera essenza di un’educazione culturale, nata al di fuori di intenti puramente economici. Il sociologo Simmel ci ricorda come il denaro assuma assoluta centralità nella vita sociale e arrivi a determinare scopi, valori e comportamenti dell’uomo. È necessario riscoprire la vita contemplativa (otium) e tutte le sue sfaccettature a dispetto di un’eccessiva ingerenza di quella professionale (negotium).

LE METROPOLI PULLULANO DI UOMINI SOLI-ASSIEME

Oggi navighiamo e voliamo per il mondo senza lo stesso dispendio economico e psicologico precedentemente necessario; ciò ci ha aiutato nel processo di civilizzazione e scambio interculturale. Una realtà benedetta quanto dannata. Ci siamo uniti in agglomerati urbani, tanto grandi quanto le nostre aspirazioni di ricchezza e velleità varie, sino a dare vita a immense Metropoli.

Ad oggi, Simmel storcerebbe il naso a qualsiasi descrizione ottimistica di queste città capitale, dato il loro carattere alienante e spersonalizzante.

Egli lo spiega con dovizia di particolari ne “La Filosofia del denaro” dove analizza l’uomo e le metropoli dandone un’immagine schizofrenica:

L’uomo, lo spirito soggettivo, diventa subordinato al lavoro, lo spirito oggettivo, segnando un diaframma problematico tra uso strumentale e sterile del denaro.

Nasce da un’ovvia causa: la divisione del lavoro dopo l’invenzione delle macchine trasforma l’uomo da artigiano a ingranaggio del sistema sociale. La donna, allora condannata al lavoro domestico, si ritrova, in realtà, in un inatteso spazio di virtualità e tempo libero- dovuto alla lontananza dal lavoro industriale alienante, del quale non sapeva però ancora godersene e quindi rimasta ugualmente relegata a una condizione estraniante almeno tanto quanto l’uomo.

I due “incagli”, scovati dal succitato sociologo, sono di nature differenti:

Il primo di carattere neuro-psicologico: le metropoli pongono l’uomo a sempre maggiori stimolazioni nervose che affollano la propria mente e gli donano un senso del ritmo alla vita veloce e rapido col fine di condurlo a un’incessante produttività. Lo spostamento da grandi centri urbani a piccole realtà rurali rallenta quegli stimoli spasmodici, facendogli ritrovare la propria dimensione personale.

L’altra è un’osservazione di carattere economico: la città è un grande centro monetario, dove lo scambio avviene unicamente per denaro. Il baratto, lo scambio diretto di beni, è ormai rimpiazzato da una serrata logica del mercato, dove il produttore lavora solo per il mercato stesso e un consumatore che non incontrerà mai e ne sarà il fruitore. Una visione lungi da essere altruista e socializzante.

LE SCUOLE SPECIALIZZANTI E NON, RINUNCIA A UNA FORMAZIONE CULTURALE IN DIFESA DI UNA PROFESSIONALE

Scuole preparatorie all’introduzione nel mondo gastronomico, meccanico, siderurgico o qualsivoglia diramazione di carattere professionale; una conquista per l’economia mal integrata, a volte, all’infarinatura culturale necessaria per osservare il mondo con occhi consapevoli e capaci di partecipare alla vita socio-politica del paese. Questo iter pedagogico in alcune scuole specializzanti , e un percorso di studi mal strutturato negli istituti tecnici e liceali, solleva una questione quanto mai moderna: siamo tutti capaci di orientarci nel mare magnum di influenze mediatiche, politiche e scioviniste senza venire spossessati della propria intenzionalità critica?

Forse è un grattacapo che va ricostruito a partire dai nostri atavici compagni: i romani. Essi solevano intrattenersi con panem et circenses e rilassarsi in comode terme con tanto di riscaldamento dell’acqua mediante focolari sotterranei ( gli schiavi addetti al rifornimento di legna non se la dovevano passare proprio bene).  La seccatura non stava certamente solo in questo e testimoni di ciò furono oratori del calibro di Cicerone e poeti come Orazio che dividevano la vita tra otium e negotium:

La prima, che italianizzata diverrebbe ozio, assumeva originariamente un significato totalmente differente, poiché poneva “il dolce far nulla” come una pratica sana per dedicarsi alla saggezza e al culto del sapere piuttosto che al commercio e alla costellazione nella propria vita di sempre più successi.

È disarmante vedere progressivamente corsi di specializzazione, workshop, master e via discorrendo incentrati unicamente sulla carriera, produzione e arrivismo professionale

Un tumore che trova la sua eziologia nella cultura del numero:

valutazione degli studenti fatta con pallidi e nebulosi rapporti e politiche meritocratiche che finiscono esclusivamente per rendere l’istruzione meno equa e giusta. Quest’ultima viene promossa con lo scopo di creare uomini dai valori omogenei e processi decisionali facilmente intuibili e quindi manipolabili. Fare accetta di cadaveri sui quali sedersi mentre si viene accerchiati da una discreta cricca di carrieristi pronti a insanguinare il “soglio” del precedente re, sotto un sorriso ben dissimulato.

SENECA NOBILITA L’OTIUM E DIVENTA ANTESIGNANO DI UNA CULTURA DA NOI DIMENTICATA

Da illo tempore, Seneca parlava di una disamina tra otium e negotium differenziati rispettivamente in Prima  e Seconda Repubblica. Diventa doveroso cedere a un moderato citazionismo riportando quanto segue:

Questa repubblica grande noi possiamo servirla sino in fondo anche nel ritiro, a noi non so se meglio nel ritiro, indagando che cos’è la virtù[…]se la natura o l’educazione rende buoni gli uomini[…]di quale natura è dio[…] se l’universo è immortale o è da annoverare tra le realtà caduche ed effimere.”

La prima faceva riferimento all’universo nel quale risiedevano uomini e dèi, nobilitando il senso dell’indagine, scoperta e ricerca di ciò che è oltre l’apparire;

La seconda, invece, è il luogo laddove vengono svolte le attività quotidiane, scevre di qualsiasi connotazione di arricchimento spirituale e culturale.

Secondo Seneca questa brama di ricerca ci viene donata dalla natura, un semplice diletto contro la superficialità . Successivamente sono nate le concezioni capitalistiche ( produttività equivalente alla quantità a dispetto della qualità) , un sistema che accoglie la velocità e la rende compagna al pragmatismo, trasformando un concetto pregno di riflessione in semplice ozio; la moderna e ormai inflazionata negligenza.

Ci siamo addentrati sino in fondo alla superficie del negotium, messo a nudo i meccanismi dell’otium e acquisito i giusti mezzi per rivalutare il sistema attuale ; ma adesso che siamo oltre l’apparire, di quali fini vogliamo vestire la cultura?

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