Le tecnologie condizionano la nostra mente? Ci rispondono le neuroscienze e Socrate

Dal pensiero antico alle ricerche contemporanee sul concetto di “mente” molti elementi sono cambiati, invece altri permangono.

Gli studi sul funzionamento del cervello e dei processi cognitivi hanno aggiunto tanto alla discussione sulla natura della “mente”, ma riprendono anche elementi centrali di quei pensieri antichi, come quello socratico, che hanno determinato la concezione di mente occidentale.

La mente estesa

Il concetto di mente è stato al centro della trattazione filosofica sin dall’antichità. Risulta difficile definire cos’è la mente, dove si trova e se si limita esclusivamente al cervello. Da Platone fino a Descartes si parlava anche di mente come anima, come pensiero o “res cogitans”. Tuttavia, in età contemporanea il grande influsso delle neuroscienze ha apportato notevoli studi che sfociano dall’ambito prettamente filosofico-metafisico.

Una delle elaborazioni contemporanee più interessanti è stata operata dai filosofi della mente Andy Clark e David Chalmers. Nell’articolo “ The extended mind” parlano della mente come “estesa”, ossia non circoscritta al nostro cervello o addirittura al nostro corpo, ma estesa a tutto ciò che può amplificarne e migliorarne le prestazioni. Pensiamo banalmente a quando per ricordarci un’informazione la annotiamo su un post-it; questo gesto “delega” il compito della memoria ad un oggetto esterno rispetto al corpo. Questa caratteristica centrale della mente umana permette di aumentare notevolmente la quantità di dati da padroneggiare e analizzare, anche in attività che richiedono molte energie cognitive.

Una mente plastica

In un sistema “mente” come questo, il cervello occupa comunque una parte essenziale.

Il filosofo della mente Daniel Dennet definisce l’essere umano come una “macchina cognitiva”, che trae vantaggio da strumenti esterni per manipolare la realtà agendo sul pensiero. In che modo, allora, l’estensione della mente ad ausili tecnologici agisce sulla nostra mente, e in particolare sul cervello?

Una caratteristica importante dell’encefalo umano è la sua plasticità, ossia la capacità di modificare le proprie funzioni in relazione a stimoli esterni, traumatici (come per esempio il morbo di Alzheimer) e non (l’apprendimento).

Un modello di mente estesa, come abbiamo visto, presuppone che ci siano strumenti esterni di cui la mente usufruisce per amplificare le sue potenzialità, ma che a loro volta plasmano le facoltà mentali. Si parla, dunque, di un “moto circolare” nel rapporto mente-tecnologie esterne, dove gli strumenti utilizzati e prodotti dalla creatività mentale la modificano a loro volta, aggiungendo o diminuendo facoltà o capacità. La stampa, il telefono, il televisore e tutte le tecnologie che sono state create nella storia umana hanno creato (e continuano) spazi in cui la mente si sviluppa in modo diverso dal passato.

L’elemento che, a mio avviso, desta curiosità è il fatto che già Socrate, nel V secolo a.C., avesse evidenziato questo carattere plastico della mente.

Il “non-scrivere” socratico

Il mito di Theuth, contenuto nel “Fedro” di Platone, comunica in modo chiaro una delle caratteristiche centrali del pensiero socratico, ossia l’impossibilità della scrittura del pensiero filosofico, andando contro tutta la filosofia scritta e dogmatica che l’ha preceduto.

Nel mito di Theuth Socrate racconta a Fedro come il dio Theuth donò al re di Tebe le arti e le scienze e, in particolare, l’alfabeto che “renderà gli Egiziani più sapienti e arricchirà la loro memoria”. Il punto centrale del mito è quello di mettere in evidenza la differenza tra sapienza, che aspira al bene e alle idee, e conoscenza, dogmatica e fondata sui testi scritti, dunque illusoria. Socrate rinuncia alla scrittura perché non accresce la sapienza, in quanto non posso interrogarlo e dunque blocca il dialogo filosofico.

Tuttavia, l’elemento su cui voglio soffermarmi, in relazione a quanto detto sulla plasticità della mente, riguarda la risposta del re di Tebe al dio. La scrittura produce, secondo il re, effetti contrari a quelli esposti, in particolare sulla memoria. Infatti l’alfabeto “produrrà oblio nelle anime di chi lo imparerà” perchè non sarà più necessario allenarsi sulla memoria; e per quanto questo concetto appaia semplice e banale, anticipa di molti secoli quei modelli di mente estesa e plastica trattati precedentemente.

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