Provate a guardarvi intorno. Osservate le persone che vi circondano. Probabilmente non le rivedrete più, e la cosa neanche vi interessa, perché, in fin dei conti, sono come noi, avranno di sicuro una vita normale. Ma perché non pensare che tra di loro si nasconda qualcuno che “normale” non è? Qualcuno che la notte esce per le strade, con una tuta sgargiante, pronto a riportare l’ordine dove le forze dell’ordine non arrivano. Qualcuno come Kick-Ass.
La risposta che in molti hanno pensato è stata, seppur con eventuali parole alternative, “perché è un’idiozia”. E questa è la stessa risposta che il protagonista del fumetto di Mark Millar e John Romita Jr, l’adolescente Dave Liezewski, riceve dai propri amici. Ma neanche l’iniziale derisione, e a dire il vero neanche un pestaggio, una coltellata e lo scontro con un’auto in corsa, lo dissuadono dall’indossare una muta da sub, riadattata per l’occasione a costume da supereroe, per pattugliare le strade di New York come il buon Batman fa con la sua Gotham. La storia raccontata da Millar, mostro sacro della nona arte, prende come spunto un’idea che la gran parte di noi ha avuto almeno una volta nella vita. Ci ricordiamo di quando, da piccoli, volevamo essere supereroi, difensori di tutti e tutto? Questo desiderio è dettato dal sentimento di accettazione e integrazione all’interno del tessuto sociale, ma anche dalla volontà che hanno i bambini di affermarsi, di essere al centro dell’attenzione. Con il tempo però ognuno trova il proprio modo per farlo ed etichettiamo come fantasia infantile i nostri passati sogni di difensori della città.

Questo non accade invece a Dave. Il nostro protagonista, dopo un primo tentativo di improvvisarsi vigilantes, finito con 4 diversi interventi chirurgici e alcune placche di metallo in testa, diventa famoso a seguito di un video che lo riprende mentre difende un uomo da un tentativo di rapina, mulinando i manganelli come un piccolo Wolverine con i propri artigli. La strana notizia ispira altri a fare lo stesso: Red Mist, anche lui un ragazzo coetaneo di Dave, decide di unirsi a Kick-Ass nella lotta al crimine. Ma il vero punto di svolta della storia è l’incontro con Big Daddy e Hit-Girl. Questi vigilantes mascherati, se con Kick-Ass condividono la lotta parallela al crimine, si differenziano ampiamente per i metodi letali e precisi. L’incontro catapulterà il giovane studente in una lotta efferata contro una pericolosa cosca mafiosa che agisce indisturbata in città, fino alle drammatiche, ed estremamente violente, conseguenze.

“Kick-Ass” è un fumetto adrenalinico e coinvolgente, se si ha lo stomaco per rimanere al suo passo. La resa grafica delle scene di azione facilita molto l’immedesimazione del lettore e la leggibilità degli eventi, mentre lo storytelling si rivela solido e scorrevole. Ma oltre ai pestaggi in calzamaglia contro mafiosi armati fino ai denti, c’è un altro elemento molto interessante, nascosto nella frase: “Perché c’è gente che vuole diventare Paris Hilton e nessuno che vuole diventare Spider-Man?”. Questa è la domanda a cui Dave non sa, e forse non vuole, darsi risposta. Oltre alle motivazioni più dirette, che sottolineano il pericolo reale di tale attività, viene spontaneo dire: “perché è contro la legge“. Niente di più vero: nelle moderne democrazie lo Stato è l’unico detentore legittimo della forza coercitiva, a cui però fa ricorso in situazioni specifiche, senza mai abusarne. Il comportamento di Dave viene definito “deviante“ da un punto di vista sociologico, poiché non si conforma alle norme e alle aspettative culturali di base.
Secondo il sociologo francesce Emile Durkeim le regole sociali servono per porre un freno agli illimitati desideri umani, così da permettere una corretta e completa integrazione nel tessuto sociale di ogni individuo, che infine trova il proprio scopo al suo interno. Raggiungere e conformarsi a determinati standard serve a questo. Analizziamo Dave: egli stesso dice: “[…] non ero nè il buffone, nè il genio, nè niente. Come la maggior parte della gente della mia età, esistevo e basta“. Il suo personaggio è pensato appositamente per sentirsi emarginato, senza possibilità di avere un posto nella comunità di riferimento, che allo stesso tempo però brama. La solitudine, cioè la carenza di integrazione, è uno degli elementi principali che Durkheim rintraccia nel suo famoso studio sul suicidio. Questa porta al cosiddetto “suicidio egoistico“, dovuto proprio alla debolezza dei legami sociali. Ma Millar si guarda bene da questa scelta per il suo personaggio. Corregge il tutto con una buona dose di incoscienza giovanile e cultura pop-supereroistica, mettendo così nelle mani del lettore un altro tipo di deviante.

Nel 1938 Robert Merton propose un’interpretazione della devianza che si concentrava sulla dimensione conflittuale tra norme ed obbiettivi in una società. Definita “teoria della tensione“, riteneva che i comportamenti devianti derivassero da una mancanza di mezzi per raggiungere gli obbiettivi stabiliti. La pressione sociale al loro conseguimento avrebbe quindi portato gli agenti sociali a trovare nuove modalità per farlo, diventando così “devianti”. A Dave succede la stessa cosa: siccome ritiene di non avere altra strada per affermarsi, per capire chi vuole essere in base a quanto stabilito dalla società, trova un’altra via, diversa da tutte le altre. Questa viene definita da Merton “innovazione“, ovvero un modo socialmente inaccettabile per raggiungere il successo sociale.
Per quanto lo scopo sia chiaramente di intrattenere, e qualche volta sconvolgere, il lettore, la storia raccontata da Millar e Romita Jr presenta un ritratto interessante ed affascinante di alcuni soggetti devianti, con cui ci diverte immedesimarci. Forse perché, in fondo, non abbiamo ancora abbandonato l’idea di diventare supereroi.
Giulio Bacciardi