Il mondo che ci circonda, la realtà che percepiamo, vi siete mai chiesti se non sia un’illusione? Un sogno integrale, per citare Cartesio? Siamo certi di quello che siamo? Domande queste che sembrano fantascienza, l’evidenza contrasta ogni dubbio direte voi, ma che l’evidenza non sia anch’essa parte del gioco? Disparate sono state le teorie sul concetto di realtà nel corso dei secoli, un concetto fondamentale, che sembra risultare palesemente definibile ma che si copre invece di un alone di mistero potente e sconcertante.
Matrix
Non c’è esempio migliore per rendere evidente la suscettibilità del concetto di realtà che il film del 1999 delle sorelle Wachowsky. Nella pellicola si narra di un giovane informatico e hacker soprannominato Neo che viene reso consapevole del fatto che il mondo in cui vive non è altro che una proiezione, la vita che fino ad allora credeva reale non era altro che un illusione burattinata da delle intelligenze artificiali che facevano in modo che essa fosse considerata consapevolmente realtà. Lasciando perdere il resto della trama, quello che è necessario analizzare è il concetto di finzione e di illusione, soffermandoci sulla definizione del reale a partire dal pensiero del padre del criticismo e della filosofia trascendentale, Immanuel kant, operando una disamina sulla monolitica diade fenomeno/noumeno.
Le lenti colorate
Nella Critica della ragion pura (1781 e 1787) Kant definisce il concetto di realtà mediante la coppia fenomeno/noumeno. L’Erscheinung, il fenomeno, è da intendere come l’oggetto del mondo esperibile, ‘l’oggetto indeterminato d’una intuizione empirica’(Critica della ragion pura) ed è uno per contenuto ma molteplice per forma, nella misura in cui viene a costituire sia l’unità di misura della realtà, appunto, fenomenica sia questa nella sua interezza. Questa non rappresenta la vera realtà, il fenomeno non è la cosa in sè, ma è l’unico oggetto conoscibile dall’intelletto umano, dotato di forme a priori che organizzano e plasmano il mondo, conformandolo a sè. E’ importante non confondere questo atteggiamento filosofico con quello dell’idealismo, l’intelletto kantiano intuisce non produce, è spontaneo e non creatore, la realtà esiste a prescindere da esso, e Kant la chiama Noumeno, la cosa in sè, inconoscibile ma presente. Siccome il soggetto non può accedere alla sfera noumenica, alla vera realtà, filtra i suoi contenuti attraverso le forme a priori dell’intelletto, i dati empirici vengono organizzati da esso attraverso le categorie, concetti puri che classificano e ordinano il molteplice del sensibile e lo sussumono sotto un principio comune, inoltre ogni oggetto fenomenico ha insito un contenuto soggettivo, l’Io penso, appercezione originaria senza la quale l’esperienza sarebbe caoticità disorganizzata di dati incapaci da cogliere e da distinguere gli uni dagli altri.
Kant e Matrix: la realtà fittizia
E’ evidente a questo punto cogliere la comunanza tra la realtà fenomenica di Kant e quella artificiale del film Matrix. Entrambe sono fittizie, entrambe filtrate, nel primo caso da forme aprioriche costitutive, che rendono la realtà kantiana comunque una dimensione reale, seppure non originale e nel secondo da delle intelligenze superiori per scopi fantascientifico-distopici di cui non è necessario occuparci in questa sede. Quel che conta è cogliere il confine tra realtà e finzione, nel caso di Kant la finzione è consapevole, il soggetto sa di non avere accesso, per limiti intellettivi, alla sfera del Noumeno, ma è un pensiero calzante per esemplificare il concetto; la consapevolezza non rende comunque effettiva la realtà fenomenica, essa è solo l’unica a cui è possibile l’adito.
L’era degli smartphone e delle straordinarie scoperte nel campo della tecnologia, ha portato l’uomo ad una condizione di virtualizzazione persistente, sempre connesso, sempre più dipendente dall’alienarsi dal mondo che lo circonda. L’alternativa virtuale è diventata una via di fuga temporanea, un modo per staccare, un collegarsi per scollegarsi… C’è da sperare che questo rifugio fittizio venga concepito come tale, e che non rimpiazzi un giorno la dimensione reale.
Samuele Beconcini