Può un’aspirante scrittrice affetta da disturbo ossessivo compulsivo, auto-defloratasi un timpano con un cotton fioc e assidua nudista newyorkese diventare l’icona di una nuova generazione di ragazze? Sembra scioccante, ma la serie televisiva “Girls” firmata dalla promettente penna statunitense Lena Dunham ci ha insegnato che è così.
A vestire i panni di una moderna paladina in abiti appariscenti, tagli di capelli discutibili e comportamenti al limite del decoro è la brillante Hannah Horvath, perfetta otusider sia nella serie stessa sia sulla scena del piccolo schermo se paragonata ad alcune tra le intramontabili protagoniste delle pellicole rosa, come l’affascinante Elena Gilbert, la romantica Meredith Grey o la riflessiva Rory. A rendere così fuori dagli schemi il personaggio creato sullo stampino della stessa Dunham – che nel delineare le sfaccettature del suo main character si è largamente ispirata alla propria storia personale – è però soprattutto il suo carattere difficile.
Così come il suo nome, Hannah è un palindromo, ovvero quel genere di personaggio che riesce a mantenere autenticità sia comportandosi in modo corretto e lodevole sia, al contrario, andando nella direzione opposta ed incarnando il peggio di una persona. E, considerando che questa seconda faccia della medaglia è quella che mostra più spesso, in ciò risiede la vera novità portata dalla Dunham: per la prima volta la protagonista di una serie “rosa” sta antipatica alla stragrande maggioranza dei fan che la seguono.
Il realismo oltre il principe azzurro
A rendere così folgorante questo originale personaggio non è però solo il suo radicato femminismo o il pungente sarcasmo che ne colora la personalità, ma piuttosto il suo rapporto spesso deleterio con l’altro sesso. Banale, vero? Tutto il contrario, se il soggetto in questione è Adam Sackler. Emotivamente instabile, dal carattere animalesco e affetto da una velata incapacità di tenere addosso una maglietta per le prime tre stagioni della serie targata HBO: il nostro principe azzurro a primo impatto ricorda una moderna versione di Tarzan, con molte più sostanze non identificate in corpo ed una bizzarra passione per la falegnameria. Non c’è da stupirsi che tra i due il feeling sia fulmineo.
Un altro salto in avanti (o forse indietro, chi può dirlo) in “Girls” si rivela quindi la totale assenza del classico personaggio maschile perfetto, idealizzato dal pubblico femminile e intinto nelle migliori qualità in circolazione: fascino, carisma, spiccata intelligenza e una certa dose di machismo.
Paradossalmente però l’iniziale complicità tra Adam e Hannah – fatta di innumerevoli astrusità, stravaganti rituali sessuali e un quasi assente dialogo razionale – si rivela talmente spontanea da suscitare, oltre ad una sana dose di sconcerto, anche l’idea che forse nella vita reale vada esattamente così.
Puntata dopo puntata, i due personaggi ostentano i crudi retroscena che si nascondono dietro il sipario delle love story preconfezionate che spesso ci somministrano le serie tv, portando in scena (senza però condannarli) i difetti che ognuno di noi scopre di avere solo nel momento in cui decide di aggiungere uno spazzolino estraneo nel proprio bagno o quando per la prima volta si accorge che la sua maglietta preferita è impregnata dell’odore di un’altra persona. Il tutto fatto a volte in modo grottesco ed altre con una sensibilità nuda ed inclemente, ma sempre e comunque con la tipica verve che li contraddistingue: senza concedere al pubblico di ancorarsi all’idea stereotipata e masticata all’infinto di “amore” a cui è abituato, ma anzi quasi trattenendolo fino all’episodio conclusivo con un pezzo di puzzle mancante che avrebbe potuto confermare o stravolgere le aspettative di 6 lunghe stagioni.
L’amor proprio oltre il tabù della bellezza
Mentre sullo sfondo della storyline il rapporto amoroso tra i personaggi si dimostra destabilizzante fin dagli albori, dietro la cinepresa germoglia invece il talento di attrice e regista della Dunham, e proprio in questa fase un’altra relazione turbolenta fa il suo ingresso. Stiamo parlando di quella tra Hannah e il suo fisico: morbido, abbondante e fiorente di tatuaggi, il corpo che la protagonista ostenta senza mezze misure durante tutta la serie è talmente distante dai canoni abituali da oscillare costantemente, agli occhi del pubblico, tra un risoluto manifesto di autostima ed un elemento di taciuto disagio.
Senza troppi fronzoli (e nemmeno troppi veli) la Dunham porta così sullo schermo una nuova idea di femminilità, ben lontana dai corpi scultorei e longilinei delle serie tv a cui siamo abituati, e allo stesso tempo infinitamente distante da una concezione timida, imbarazzata o insicura della propria sessualità.
Sebbene infatti l’accettazione di sé e la rottura dei canoni tradizionali di bellezza siano già state decantate sul grande schermo, per la prima volta questa nuova fisicità costellata di maniglie dell’amore, goffaggine e taglie XL non solo non diventa il fulcro centrale attorno a cui ruota la storia della protagonista ma, anzi, non viene quasi mai nominata: non perché essa sia un tasto dolente, ma piuttosto per sfatare il mito secondo cui nelle serie televisive in cui la protagonista è in sovrappeso tutta la storia ruoterà attorno al suo reinventare sé stessa per piacere agli altri o, al contrario, convivere quotidianamente con questo “problema”.
La felicità oltre il “vissero felici e contenti”
Qui inizia lo spoiler, quindi per tutti coloro che vogliono ancora vedere “Girls” nonostante l’infinita carrellata di difetti sopracitati è arrivato il momento di cliccare sulla “x” in alto a destra.
Dopo una serie infinita di tira e molla, di vorticose acrobazie per rimanere lontani e altrettante per venirsi incontro… ad attendere i due protagonisti non c’è nessun lieto fine. Nessuna corsa a rallentatore sul bagnasciuga, nessuna proposta di matrimonio in aeroporto poco prima della partenza di un volo intercontinentale, nessun bacio conclusivo sotto la pioggia mentre in sottofondo viene intonata una canzone di Ed Sheeran.
E anche in questo caso c’è da dirlo: Lena Dunham è riuscita a lasciare il suo pubblico totalmente attonito, e l’ha fatto con un’inquadratura di pochi minuti, quasi del tutto priva di dialoghi e basata su un tenero quanto struggente gioco di sguardi tra Hannah e Adam seduti ad una tavola calda. Un addio consapevole e carico di tutte quelle mute conclusioni a cui, solo ora che sono più maturi, i due innamorati riescono a giungere. Perché innamorati, sì, lo sono ancora. Ma se Hannah ci ha insegnato qualcosa in tutti questi episodi passati davanti allo schermo, è che nel momento in cui l’amore per un’altra persona viene anteposto a quello per sé stessi non sarà più possibile amare nessuna delle due parti.
Con questo finale Lena Dunham getta quindi in mezzo al mucchio l’ultima grande lezione, incastrata come sempre tra una battuta ironica e dei dialoghi superficialmente nonsense: si può vivere felici e contenti anche da soli. E lo si può fare pur non essendo ancora totalmente realizzati, o totalmente adulti, o totalmente costruiti. E, soprattutto, lo si può fare anche imparando a voler bene a tutte quelle nostre innumerevoli “altre facce della medaglia” che ci imbarazzano, ci infastidiscono o ci spaventano.
Perché ognuno di noi, esattamente come Hannah, è un po’ un palindromo: anche se siamo abituati a leggerci in un unico modo, non è detto che – cambiando totalmente la prospettiva – non saremo in grado di ritrovarci esattamente come siamo davvero.
Francesca Amato