Il Vampiro è frutto di un threesome: declinazioni in Baudelaire, Wells e Junji Ito

Dalla donna vampiro baudelairiana fino alla sua estrema conseguenza nel manga “Tomie” di Junji Ito, passando per la vegetazione malata di Wells. Vediamo insieme come evolve la concezione di questa misteriosa figura. 

La leggenda del vampiro è fatta d’amore e odio, affascina e terrorizza, ma soprattutto è stata utilizzata come metafora in parecchie opere ottocentesche e contemporanee. In questo articolo ci occuperemo delle tre figure principali: la donna-vampiro di Baudelaire, la vegetazione-vampiro di H.G. Wells, l’amante-vampiro di Junji Ito.

 

BAUDELAIRE: IL VAMPIRO COME FEMME FATALE… E NON SOLO!

La raccolta “I Fiori del Male” suscitò parecchio scalpore. Il fiore lo si è sempre collegato a un’immagine positiva, benefica, romantica. Con Baudelaire tutta questa concezione cambia. L’immagine di purezza lascia il posto alla consapevolezza che anche il male può avere il suo fascino, come un fiore. Sulla scia di questa concezione decadente e tenebrosa ecco che il vampiro non esita a fare la sua comparsa. Baudelaire ne parla in tre poesie. Ognuna sviluppa un tema di mostro differente.

[…] Ho chiesto alla fulminea Spada, allora,
di conquistare la mia libertà;
ed il Veleno perfido ho pregato
di soccorrer me vile. Ahimè, la Spada
ed il Veleno, pieni di disprezzo,
m’han detto: “Non sei degno che alla tua
schiavitù maledetta ti si tolga,
imbecille! – una volta liberato
dal suo dominio, per i nostri sforzi,
tu faresti rivivere il cadavere
del tuo vampiro, con i baci tuoi!”

Concordo con l’interpretazione della critica nell’identificare il vampiro con la donna amata ma non nego l’ambiguità degli ultimi versi. Potrebbero indicare il poeta stesso come morto vivente, al quale basterebbe un bacio soltanto alla donna amata per risvegliare in lui una forte passione amorosa.

Se in questa poesia l’amore è una passione sentita e dilaniante, in “Metamorfosi del Vampiro”  la donna non è più una femme fatale ma un vero e proprio mostro, simbolo di una sessualità scollegata dall’affinità mentale, puro gesto meccanico.

[…] Quando m’ebbe succhiato tutto il midollo delle ossa,
come languidamente verso di lei mi volsi
per un ultimo bacio, io non vidi al suo posto
che un otre pieno di pus, dai fianchi vischiosi!
Chiusi gli occhi nel freddo, improvviso spavento,
e quando alla luce viva li riapersi,
al mio fianco, invece della possente bambola
che sembrava aver fatto la sua provvista di sangue,
tremavano confusi pezzi di scheletro […].

In “Heautontimorumenos” è il poeta ad essere vampiro all’interno di una società meschina che comincia ad assumere come direttrici l’utilità e il guadagno. Si evidenzia pertanto il tema tipicamente decadente dello spleen.

Sono il vampiro del mio cuore,
-uno di quei grandi abbandonati,
condannati al riso eterno
e che non possono più sorridere!

H.G. WELLS: UN ALTRO FIORE DEL MALE

In questo periodo compare frequentemente la tematica della vegetazione malata, da Hawthorne che pubblica “La figlia di Rapaccini” (racconto in cui una fanciulla coltiva un giardino di piante velenose) alla natura del dannunzianesimo estetico in “Intermezzo di Rime”fino ad approdare al racconto “Fioritura di una strana orchidea” firmato da H.G. Wells. Quest’ultimo fa parte della raccolta “Il bacillo rubato e altri casi”, pubblicata nel 1905 in Italia ad opera della casa editrice Treves col titolo di “Novelle straordinarie”. Winter-Wedderburn si aggiudica la vincita all’asta di un’orchidea non ancora classificata. La governante non è per niente contenta: nutre il sospetto che questa pianta nasconda un qualcosa di misterioso che non porterà a nulla di buono. Fatto sta che il protagonista decide di coltivarla nella sua serra dove tiene molte altre orchidee. Una volta fiorita essa emana un profumo talmente inebriante che gli provoca un deliquio. Subito le radici gli aggrovigliano il collo e succhiano il suo sangue. Prontamente interviene la governante, lo libera e lo mette in salvo affidandolo alle cure del dottor Haddon.

L’ESTREMO VAMPIRISMO DI ITO

“Tomie”, mostro femme fatale creato da Junji Ito, è destinato a diventare un cult del genere horror. Il filo rosso che collega tutti i racconti è l’estremizzazione della passione amorosa che porta l’amante alla distruzione dell’oggetto amato. In Ito non ci sono fraintendimenti: l’amore fa veramente perdere la testa. Tutti gli uomini si innamorano della bellissima Tomie ma nessuno riesce a possederla; ecco quindi che la passione raggiunge il suo apice con l’approdo alla consapevolezza che l’unico modo per potersi liberare da questa ossessione è uccidere la ragazza. Farla a pezzi affinché non rimanga niente. Tomie rappresenta un vampiro del tutto mentale, che con il suo atteggiamento irrisorio nei confronti dell’uomo estirpa in lui tutto ciò che ha di umano, favorendo l’emergere di istinti brutali e omicidi. Leggendo “Tomie” non si può non richiamare il vampirismo di Albino Pierro nella poesia in dialetto tursitano (qui riportata in traduzione) “Forse mi vuoi”, dove come in Ito, il poeta si trasforma in una specie di omicida che tenta di eliminare la presenza femminile.

Forse mi vuoi,
e già mi sogni la notte.
Io pure,
comincio a tremar nella sete,
e ho paura.
Mi avventerei sopra di te,
e tutto quanto te lo succhierei, il sangue,
in una sola bevuta senza prendere fiato,
come chi ubriaco ci si attacca
a una botte spaccata
e vorrebbe nuotare nel vino rosso
per morirci.

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