Le tele più importanti del pittore norvegese erano esposte in serie con il nome definitivo di “Fregio della vita”. Le sensazioni che emana l’intera esposizione non possono non essere la paura, il timore, la depressione, la tristezza, l’angoscia; in generale si può affermare che il Fregio è una poesia di vita, amore e morte.
Quando vennero esposte a Berlino, alla Berliner Secession, Munch affermava: << Erano racchiusi in una cornice bianca ideata da me, tra i colori della camera mortuaria c’erano tristi tonalità grigio verdi, c’erano grida che annunciavano disgrazie. Era come una sinfonia: grande scalpore, molta ostilità e molto plauso.>>
Studio per una serie evocativa chiamata Amore:
Le prime opere di ciò che viene oggi chiamato Fregio della Vita risalgono al 1886, esse sono La bambina malata e anche Adolescenza e Il giorno dopo. Munch discusse molto riguardo al nome definitivo dell’esposizione, nel dicembre del 1893 i quadri erano sei e la mostra avrebbe preso il nome di L’Amore poichè descriveva le fasi dell’amore: inizio speranzoso e crudele e soitaria fine. Per poi arrivare nel 1918 a rinominarla definitivamente Fregio della vita. I dipinti sono suddivisi in quattro tappe: Seme dell’amore, Sviluppo e dissoluzione dell’amore, Angoscia, Morte. L’elemento saliente è senz’altro l’amore ma punta più sulla sua fine che va pian piano scemando verso una triste e depressa solitudine piuttosto che sui primi segnali dell’amore, la felicità, la spensieratezza e la gioia. Le note allegre e leggere sono toccate da Munch soltanto di sfuggita, solo per un attimo, proprio per evidenziare la caducità di un sentimento così forte e macabro, a dir poco.
L’arte come libera confessione: immagini di amore e morte.
Riguardo la prima tappa i dipinti più importanti e celebri sono senz’altro Il bacio e Madonna. La prima opera è una rielaborazione di una tela svolta cinque anni prima intitolata Il bacio con la finestra. Secondo alcuni critici la donna non è altro che la personificazione della depressione che inizia ad invadere e a prevalere nel dipinto e nella vita del pittore, si nota come sia in una prima versione, quella blu, sia in quella definitiva, i volti non si distinguono, non hanno una propria identità bensì vengono miscelati e uniti attraverso pennelate lunghe e colori tristi, cupi e profondi. Nell’opera definitiva Il bacio si ha un solo raggio di sole che rischiara l’intera località, come se stesse a significare che lì la depressione, la tristezza e la malinconia non sono ancora arrivati, si ha un ultimo briciolo di speranza, di vita, che probabilmente è destinato ben presto a sparire, a disintegrasi, come il resto dello spazio circostante. La seconda opera è la Madonna: qui il sacro e il profano si intrecciano, la donna è raffiguarata nuda fino ai fianchi, i capelli sono lunghi e neri e si aggrovigliano attorno al suo corpo; il viso è raffigurato leggermente alzato, e sta a simboleggiare il momento dell’estasi, è circondato inoltre da un’aureola profana di colore rosso che simpoleggia la passione, l’amore carnale e terreno. Riguardo questo dipinto Munch dichiara: «Il dipinto della donna che dona e possiede la tormentata bellezza di una Madonna.
Il Mistero risiede nell’evoluzione collettiva.
La donna, nella sua totale diversità, è un mistero per l’uomo – simultaneamente santa, puttana e servizievole creatura dedita, nell’infelicità, all’uomo.»
Lo smisurato coraggio del dionisiaco:
Friedrich Nietzsche nella sua prima e celeberrima opera La nascita della tragedia sviluppa due concetti base: l’apollineo e il dionisiaco. Lo spirito apollineo è l’armonia delle forme, il quieto vivere, la tranquillità, la serenità, l’ordine e l’equilibrio. Tutto ciò che è simmetrico e la realtà geometrica priva di caos rappresentano la razionalità della vita apollinea. A ciò viene contrapposto il dionisiaco, nome proveniente dal dio greco Dioniso, inizialmente dio della vegetazione e della linfa vitale che scorre nelle piante e solo in seguito verrà invece identificato come dio dell’ebbrezza della vitalità, della liberazioe dei sensi e del vino.( molto celebre l’opera di Michelangelo Merisi, Caravaggio, raffigurante il dio Bacco adolescente ai suoi piedi e in mano vi sono calici di vino che vengono retti dal dio attraverso una presa non sicura che forse simboleggiava l’ubriachezza) Dioniso è il dio che incarna l’istinto, l’anima selvaggia di ogni individuo, presente anche nell’essere umano civilizzato in minori o minime quantità. Nietzsche stesso scrive nella sua opera postuma La volontà di potenza riguardo il dio da lui raffigurato e reso celebre nel XX secolo: “Dioniso è l’uomo ben riuscito, a lui piace ciò che gli giova. Il suo piacere per una cosa cessa quando la misura dell’utilità è superata, diventa più forte grazie ai casi sfortunati che minacciano di distruggerlo. Da tutto ciò che vede, sente e vive, raccoglie istintivamente qualcosa che giovi alla sua causa principale”
Mediante la figura di Dioniso si può comprendere come il dio dell’ebbrezza e del vino sia contrapposto alle molteplici figure da Munch dipinte e raffigurate, si riesce a percepire come i due artisti siano agli antipodi: le opere e i personaggi di Munch vengono immersi, abbattuti, distrutti e quasi privati di vita, di passione, di piaceri a causa della tristezza e della depressione che incombe nella vita. D’altro canto e al vertice opposto vi è Dioniso e lo spirito dionisiaco che accettano e confermano anche emozioni estremamente cupe e profonde per poterne trarre qualcosa, per far sì che scaturisca una nuova, tracotante e violenta energia: la vita.