Considerazioni sul fenomeno di TikTok nell’irrequietezza moderna dell’elusione del momento, attraverso le filosofie del tempo.
Nei millenni s’è accordato che quel continuo deteriorarsi delle cose prendesse il nome di tempo, nel tentativo di misurare e nella speranza di prevenire quell’unica forza che ad ‘oggi possiamo definire inarrestabile. Tra tutte le cose che l’uomo ha avuto la briga di nominare e quindi a rendere a sé noto il tempo occupa sicuramente un ruolo di grande rilievo, è quell’unica cosa che di fatti c’è indipendentemente da noi, nonostante dipenda esattamente da noi. Ma una volta postosi questo limite “naturale” l’uomo ha avuto cura di esorcizzarlo attraverso quante più possibili opzioni, finendo però nella corsa contro al tempo a divenire succube d’un suo stesso demone.
TikTok
TikTok è un social network cinese lanciato nel settembre del 2016, inizialmente sotto il nome di musical.ly. Dare ora una accurata definizione dell’app mi sembra pleonastico, mi limiterò a dire che per sommi capi l’offerta di tale social consiste nella condivisione di brevi video musicali, la quale durata varia dai quindici ai sessanta secondi. A fornire il topos della nostra argomentazione sono proprio due elementi di questo fenomeno, la brevissima durata del suo contenuto mediatico e la incredibile tendenza che opera negli ultimi due anni. Tecnicamente parlando TikTok non è niente di nuovo, per la condivisone di brevi video ricorderemo sicuramente Vine, piattaforma simile che a suo modo godette di grande successo e lo stesso Instagram tramite le sue stories, Snapchat e via discorrendo. Tutti questi elementi condividono come già detto quei due punti focali, popolarità e tempi brevi.
Il tempo nella filosofia
Così come il numero, per fini scolastici ci si rifà al tempo secondo un’unica interpretazione e misura, al fine di renderlo quanto più universale e praticamente “utile”, ma la filosofia nel corso della sua storia ha offerto differenti interpretazioni del tempo, tutte ugualmente valide a seconda del contesto. Tra queste la più celebre è sicuramente la concezione greca, decisamente la più attuale, che divideva il tempo nel suo aspetto quantificativo sotto il nome di chrònos e nel suo aspetto qualitativo, detto kairós. La seconda concezione ben nota di tempo è quella ciclica, ai più presente grazie a Nietzsche o Vico, la quale chiude il tempo in una condizione circolare che intende l’universo come un continuo prodursi e disfarsi, per l’appunto ciclicamente, in una serie di eventi ripetuti nel corso degli anni. La maggior parte delle cosmologie sono cicliche, basti pensare a quella induista o quella buddhista, ma in questa sede è nostro interesse inserirci nel perfetto spartiacque tra i due modi di intendere la medesima cosa.
Ridurre il tempo per liberarsene
Il tempo occupa dunque una dimensione vicina e lontana a noi, un limite da intendersi ma non da superarsi, quell’unica cosa che c’è e inesorabilmente ci sarà, il quale ad ogni tentata risposta pone nuove domande. Ma più che focalizzarsi su queste domande l’intento è continuare a ripetere le vecchie, con escamotage sempre nuovi ma ormai tutti vertenti verso un senso comune: la velocità. Quell’unica soluzione che l’uomo sembra aver dato allo scorrere del tempo è il tentare d’anticiparlo e sempre meno abbisognarne, tutto ciò che facciamo diventa più veloce, persino l’intrattenimento. Tutto dura sempre meno e si ripete in maggiore quantità, che sia una relazione, un video un lavoro o qualsivoglia cosa, tutto inizia a durare meno. I nostri interessi e il nostro interesse ha bisogno di tempi sempre meno brevi, al film preferiamo la puntata, al video preferiamo il reel, al viaggio l’avventura e così via. L’intento è quello d’adattarsi forzatamente a tempi brevi, perché con tempi brevi abbiamo più esperienze e più esperienze vuol dire più vita. Ma tutto questo avrebbe un senso soltanto se la vita si misurasse nella quantità e non nella qualità, il tempo è un qualcosa alla quale non si può sfuggire, e in tale tentativo altro non facciamo che diventarne sue vittime condizionate e condizionatrici. Questa deformazione cronologica dei bisogni non rappresenta il nessun modo una resistenza ma una resa, un’ammissione che implica il dover fare a tutti costi e in breve tempo. La vita non è fatta di attimi, ma di momenti, ed è nel momento che l’attimo sparisce, è in quel frangente di vita tanto profondo da uscire da ogni dimensione di spazio e tempo. Contro il tempo abbiamo sempre mirato all’eternità, con opere e gesta che durassero ben più di quindici secondi e una settimana di popolarità, perché l’egemonia delle lancette non può essere fermata, ma possiamo quantomeno costruirci attorno un fantastico orologio che porti per sempre le nostre iniziali.