Il desiderio mimetico: il triangolo che non avevamo considerato

No, non è quello di Renato Zero il triangolo di cui si parla, ma quello ipotizzato da René Girard: secondo la teoria del desiderio “triangolare” o “mimetico” al rapporto, prima considerato lineare, tra soggetto e oggetto del desiderio, si aggiunge un terzo elemento rappresentato dal modello che funge da mediatore tra essi.

“Il desiderio del piacere non ha limiti per durata, perché non finisce se non coll’esistenza, e quindi l’uomo non esisterebbe se non provasse questo desiderio. Non ha limiti per estensione, perch’è sostanziale in noi, non come desiderio di uno o più piaceri, ma come desiderio del piacere” [Leopardi, Zibaldone].

La brama di desiderare, quella che i Romantici chiamavano Sehnsucht, è ciò di cui in misura maggiore si compone l’esistenza umana, sempre protesa verso la dimensione dell’assoluto. L’infinitezza a cui il desiderio dell’uomo tende non ha bisogno, per sorgere, di rivolgersi ad un oggetto (che sia esso concreto o astratto) ma in se stessa trova la propria giustificazione. Si desidera qualcosa che non ha un volto, né un contorno, qualcosa di incerto e indistinto. Incapace di sopportare una tale indefinitezza, l’uomo sente l’urgente necessità di estrinsecare il suo desiderio orientandolo verso un’entità a cui poter ambire. Al contrario di quanto comunemente si crede, ossia che ciascuno scelga autonomamente l’oggetto del proprio desiderio collegandosi ad esso in modo lineare e senza intermediari, René Girard teorizza il meccanismo triangolare del desiderio: tra questo e il soggetto si pone un intermediario, l’Altro, assunto dal soggetto come modello dotato di un maggiore prestigio. Il desiderio diventa, dunque, mimetico (dal greco mìmesis, “imitazione”) e il suo oggetto è scelto solo perché posseduto dal modello (autorevole). Ciò è facilmente riscontrabile nella società contemporanea, dove la pubblicità, i social network e gli strumenti di comunicazione di massa svolgono chiaramente il ruolo di intermediari tra gli individui e le loro volontà, ma un tale meccanismo ha caratterizzato la società umana di ogni tempo e luogo: proprio su un tale principio si basa il meccanismo dell’identificazione letteraria.

Quella del Don Chisciotte di Cervantes è la storia di un lettore non più in grado di distinguere la vita dal sogno: non vede la realtà effettuale, ma una dimensione immaginaria e illusoria che, tuttavia, è da lui sentita come vera perché aderisce alla sostanza del suo desiderio, un desiderio completamente modellato (e mediato) sul personaggio di Amadigi di Gaula. Don Chisciotte ambisce a diventare come l’eroe del suo sogno e a restaurare le ormai tramontate virtù e convenzioni del mondo cavalleresco, in una realtà da esse ben lontana.

Sull’onda del naturalismo francese e dalla magistrale penna di Flaubert nasce, invece, una delle prime eroine femminili del romanzo: Madame Bovary. Accompagnata nella sua crescita dalla segreta lettura di romanzi amorosi, Emma sogna la vita lussuosa e gli amori fiabeschi delle paladine dei suoi libri. Nutrita di grandi illusioni, mal sopporta la mediocrità della vita borghese e, incapace di arginare il suo desiderio irrealizzabile, sprofonda nel grigiore dell’esistenza. Emma decide, così, di intraprendere la via dell’adulterio, inseguendo amori vani ed effimeri, passioni impossibili in cui crede di riconoscere l’amore romanzesco a cui anelava e che il marito non era stato capace di donarle. Sperpera il suo denaro nel tentativo di condurre la vita lussuosa che accomunava le protagoniste delle sue letture giovanili e attraverso cui crede di poter compensare la propria frustrazione esistenziale. Emma insegue quella pienezza della vita che, nella grossolanità della quotidinaità borghese, sembra continuamente sfuggirle e che è, invece, cifra del prestigio che contraddistingue i modelli a cui aspira. Dissipa se stessa fino al punto di non ritorno della banca rotta finanziaria e dei propri sogni. Non solo le eroine dei romanzi sono mediatrici tra Emma e i suoi desideri, ma la stessa Madame Bovary, secondo il giudice che decretò la censura del capolavoro di Flaubert, costituisce un potenziale modello e intermediario per le aspirazioni delle lettrici: la prima adultera della letteratura occidentale non incontra nessuna condanna morale da parte dell’autore. Flaubert, secondo i principi del naturalismo, si pone verso la propria opera come Dio nei confronti della creazione, presente ovunque ma visibile da nessuna parte, creando, così, la poesia dell’adulterio la cui principale attrice diventa modello potenzialmente pericoloso per le giovani lettrici, capace di corrompere la purezza della loro virtù.