Il caso dell’asilo di Abba ed i falsi ricordi: possiamo fidarci della nostra memoria?

Il caso dell’asilo di Abba

Il 15 gennaio 2002 in una casa di Brescia una bambina guarda un cartone animato, e a un certo punto sente pronunciare un nome che le risveglia un ricordo: Battista. È quello di un orco che starebbe abusando di lei. Da lì parte uno dei casi giudiziari più lunghi della storia del nostro Paese. Battista Maggioni, per più di trenta giudici è un pedofilo senza scrupoli, che ha rapito e stuprato cinque bambini nell’asilo dove lavorava come bidello, il Cesare Abba di Brescia. Oggi è rinchiuso nel carcere di Bollate. La Cassazione lo ha condannato a 13 anni. La bambina zero da cui è partita l’epidemia di terrore da molestie aveva i tremori del sonno, paura di andare all’asilo, voleva solo la madre e rifiutava il padre. Questi sintomi possono voler dire tante cose, e non sono per forza indicatori di abuso sessuale. Mentre è possibile che un genitore, giustamente preoccupato per il benessere del proprio figlio e per difenderlo da possibili abusi, gli instilli ricordi non veri. Sembra proprio quello che è successo con la caccia alle streghe all’asilo Cesare Abba, per cui è finito in carcere Battista Maggioni. Alcune maestre dell’asilo, finite anch’esse sotto indagine e poi assolte, chiedono il trasferimento a un altro asilo, il Sorelli. Non appena delle madri scoprono che le nuove maestre vengono dal Cesare Abba, scoppia un putiferio, che culminerà nel processo prima e nella condanna poi a otto persone, per un totale di 150 di carcere.

 

Cosa sono i falsi ricordi?

La memoria è multifunzionale, collegata a tutte le nostre attività quotidiane e a tutte le abilità cognitive che possediamo. Il suo ruolo è evolutivo: senza di essa non saremmo stati in grado di sopravvivere, di riconoscere il cibo velenoso da quello commestibile, di tramandare conoscenze e tradizioni. Ma questo non è un meccanismo perfetto, nessuno di noi è in grado di ricordare un evento in maniera esatta, come fosse una fotografia. Basti pensare ai racconti che vengono tramandati oralmente attraverso le generazioni: la versione originale è sempre molto diversa da quella attuale. La nostra memoria è, infatti, estremamente malleabile e soggetta a numerose distorsioni: segue un percorso ricostruttivo piuttosto che riproduttivo.  Ciò che ricordiamo può essere accurato, ma non necessariamente esatto; può essere verosimile, ma completamente falso. In questo caso si parla di falsi ricordi. Per falso ricordo si definisce una rievocazione distorta di un ricordo preesistente o addirittura di un evento mai accaduto realmente. Il falso ricordo è così vivido, autentico simile ai normali ricordi, che sarà vissuto dal soggetto come veritiero. È quindi evidente il ruolo che possono avere i falsi ricordi in ambiti particolari come quello della testimonianza. Spesso infatti i testimoni, in particolare i bambini e coloro che non hanno una traccia mnestica abbastanza forte, possono produrre ricordi totalmente errati, in particolare se sotto stress e pressati da domande coercitive.

Quanto è facile creare dei falsi ricordi?

Uno studio condotto da Julia Shaw e da Stephen Porter, che ha coinvolto alcune decine di studenti canadesi, ha mostrato come sia facile instillare nella mente delle persone dei falsi ricordi. Ai partecipanti è stato detto che si trattava di uno studio su come recuperare la memoria perduta. I ricercatori hanno chiesto loro il permesso di contattare le famiglie per fargli domande sul periodo dell’adolescenza dei figli: è stato chiesto loro di ricordare un momento molto forte vissuto dal figlio, ma di non parlarne con quest’ultimo per tutto il periodo dell’esperimento. Nessuno dei partecipanti aveva precedenti penali. Lo studio si è svolto attraverso interviste video filmate, durante le quali gli studiosi ricordavano ai partecipanti l’episodio raccontato dai genitori insieme ad un altro, inventato. Nel 50% dei casi l’episodio inventato raccontava un crimine mai commesso, nell’altra metà dei casi una disavventura o un incidente. Gli episodi inventati contenevano alcuni particolari veri (come il nome di una città conosciuta o un posto dove la persona ha vissuto). Finito il racconto i ricercatori chiedevano allo studente di raccontare a sua volta gli episodi, molti di loro mostravano difficoltà a ricordare l’evento finto e nessuna a ricordare quello vero. A quel punto si chiedevano alle “cavie” degli sforzi per ricordare più dettagli, magari dando “false piste”, usando tecniche di persuasione come lunghe pause o finte delusioni per i mancati risultati. La prima seduta finiva con la richiesta, rivolta allo studente, di tornare a casa e riflettere sui due fatti del passato. Negli incontri successivi i partecipanti dovevano fornire più dettagli possibili sulle due storie, senza alcun intervento da parte del ricercatore. Solo al terzo incontro veniva svelata la verità. I risultati dello studio sono abbastanza impressionanti: due terzi dei partecipanti hanno hanno creduto di aver vissuto il “finto ricordo”, sia che si tratti di un crimine, sia che si tratti di un’altra storia. Un risultato interessante è che sono stati forniti molti dettagli degli uffici di polizia dove i presunti criminali sarebbero stati interrogati. Julia Shaw e Stephen Porter spiegano che i ricordi si riattivano grazie a frammenti sparsi nella memoria, che spesso non hanno nulla a che fare con il ricordo stesso. In questo modo i finti ricordi prendono lo stesso cammino creando quelle che sono “bugie oneste”.

di Gianfranco Puca

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