Il 22 maggio è stata la giornata della biodiversità: perché è importante conoscerla e tutelarla

La diversità biologica è al centro del corretto funzionamento di ogni ecosistema sul pianeta, salvaguardarla e rispettarla può far vivere meglio anche noi

Che cos’è la biodiversità? Dal 1992 ad oggi è cresciuta la nostra consapevolezza riguardo l’importanza della tutela della diversità biologica, ma siamo davvero sicuri di conoscerla bene?

La diversità biologica

Il 22 maggio del 1992 a Nairobi, in Kenya, è stata adottata da 192 Paesi la CBD, la Convenzione sulla Diversità Biologica, un trattato internazionale che riconosce l’importanza della biodiversità dell’intero pianeta e la necessità di rallentarne la perdita. Questa Convenzione, aperta alla firma durante il Summit mondiale svoltosi a Rio de Janeiro nel giugno del 1992, si pone tre obiettivi principali: l’impegno nella conservazione della diversità biologica, l’uso sostenibile delle risorse che ne derivano, e la giusta ripartizione dei benefici. Il 2020 è l’anno in cui era stato imposto il raggiungimento degli obiettivi decennali (2011-2020- Decennio della Biodiversità) che però stiamo ancora, ormai ad un passo dalla scadenza, faticosamente cercando di raggiungere.

La diversità biologica è la diversificazione delle varie forme di vita sulla Terra, piante, animali, funghi, microrganismi, risultato di un complesso e lungo processo evolutivo che culmina con i pattern di distribuzione che osserviamo noi oggi; è un magnifico dipinto della vita che si mostra in tutte le sue espressioni. In ecologia la diversità biologica viene osservata a tre livelli: la diversità degli ecosistemi, la diversità di specie e la diversità genetica, perché ogni ecosistema ha la sua peculiarità e ospita complesse comunità biologiche, ogni specie ha caratteristiche uniche che la distingue dalle altre, e anche all’interno della stessa specie la diversità genetica rende ogni individuo unico e irripetibile.

Proprietà della biodiversità

La biodiversità, quindi, non si limita al numero di specie, ma include le relazioni ecologiche all’interno delle biocenosi e la sua principale caratteristica è che non è distribuita uniformemente sulla Terra: basti pensare che solo il 7% delle terre emerse ospita almeno il 50% della biodiversità totale del pianeta, e le barriere coralline concentrano il maggior numero di diversità tassonomica, ospitando quasi tutti i phyla finora conosciuti. È stato osservato che il pattern di distribuzione segue principalmente il gradiente latitudinale (dall’equatore ai poli) e la complessità dell’habitat: per questo le fasce più ricche di biodiversità sono i due tropici e quelle più rarefatte sono i due poli.

Inoltre, sparsi per il pianeta esistono delle aree geografiche dove la concentrazione di biodiversità è particolarmente elevata: queste zone vengono chiamate hotspots, letteralmente “punti caldi” della biodiversità. Solitamente sono aree piccole, densamente biodiverse e ricche di endemismi, ovvero specie presenti unicamente in quei luoghi. Finora sono stati identificati dalla Conservation International, 36 hotspots nel mondo, il 2,4% della superficie delle terre emerse, tra cui anche il Bacino del Mediterraneo, insieme al Madagascar, Corno d’Africa, Polinesia e Micronesia, Himalaya orientale, Sri Lanka, Nuova Caledonia, Ande Tropicali e tanti altri paradisi naturali.

Negli ultimi tempi è nata una nuova consapevolezza nelle scienze ecologiche, ovvero che gli ecosistemi ci restituiscono importanti servizi ecosistemici dai quali tutti gli organismi viventi dipendono, compreso l’uomo. Molti servizi ecosistemici aumentano il nostro benessere perché sono economicamente quantificabili, come ad esempio il sequestro della CO2 dagli oceani e dalle piante, o la purificazione delle acque fatta dai microrganismi, oppure tutte le risorse che dalla natura continuiamo a prelevare. Solo gli ecosistemi sani e integri possono svolgere al meglio questi servizi, e il degrado ambientale causato dall’uomo nell’ultimo secolo, sta portando alla rovina soprattutto gli ecosistemi più fragili. La tutela della biodiversità non ha solo un valore etico, il rispetto della bellezza della natura, ma anche un valore economico perché gioca un ruolo fondamentale nel mantenimento degli equilibri ecosistemici nel tempo. Come facciamo, però, a conservare e studiare qualcosa che non conosciamo?

Quanto conosciamo veramente la biodiversità

Da quando l’uomo ha iniziato a riconoscere e classificare le diverse forme di vita, sono state ad oggi censite circa 2 milioni di specie viventi di cui quasi il 50% rappresentate dalla classe degli Insecta (circa 950mila). Pensavamo quindi di essere a buon punto, e invece è stato stimato che il numero delle specie esistenti potrebbe essere compreso tra 10 e 30 milioni di specie, milione più, milione meno: in pratica, abbiamo censito meno di 1/5 delle specie viventi, e la strada è tutta in salita. Per non parlare di tutte le specie conosciute che vengono perse per estinzione, e tutte le specie che si estinguono prima ancora che possiamo renderci conto della loro presenza. La buona (forse) notizia è che mediamente ogni anno vengono scoperte almeno 16 mila nuove specie, nel 2011 addirittura 19 mila!

Perché il tasso delle nuove scoperte è così alto? Perché stiamo iniziando a guardare in posti finora inesplorati o sconosciuti, come gli Hydrotermal vents, le caverne sottomarine o gli ecosistemi effimeri; stiamo iniziando a pensare più in piccolo, cercando organismi ad occhio nudo invisibili e ci stiamo rendendo conto che la maggior parte delle specie non le vediamo, che una grande fetta di questo motore ambientale è costituito da piccole parti, alcune di queste molto rare. Tutto questo è stato permesso dalle nuove tecnologie sviluppate negli ultimi anni, come ROV sottomarini che entrano nelle profondità abissali, ancora in gran parte sconosciute, microscopi ad elevato ingrandimento, o macchine per il sequenziamento dei genomi.

C’è da sottolineare poi, che in questo panorama non si sa quasi nulla sui microrganismi, esclusi da gran parte delle stime generali sulla biodiversità: batteri, archea, protozoi e virus rappresentano un mondo parallelo che supera qualsiasi immaginazione, e quelle finora identificate per gran parte sono specie che hanno una qualche valenza epidemiologica o comunque presenti nella vita dell’uomo. Ad esempio, abbiamo classificato circa lo 0.01% di batteri su quasi mille miliardi stimati. E gli altri? Dove stanno? Che fanno? Come contribuiscono al funzionamento degli ecosistemi?

Riempire queste gap ci aiuta non solo a censire la biodiversità del nostro pianeta, ma anche a capire come funziona, e come possiamo tutelare la diversità e conservarla al fine di studiare il benessere degli ecosistemi e dei servizi che ci vengono forniti. Ogni specie ha un ruolo ben preciso nell’ecosistema, è un tassello essenziale per il funzionamento dei processi ecologici perché occupa una determinata nicchia trofica. Anche la perdita di una o poche specie, può rivoluzionare il sistema di cui fanno parte.

La perdita della biodiversità

Le estinzioni hanno sempre fatto parte dei processi evolutivi, anzi ne sono uno dei motori principali: le specie che meglio si adattano sopravvivono su quelle che invece non sono adatte, e durante la storia della vita ci sono state cinque estinzioni di massa, cioè periodi in cui la biodiversità è diminuita in grande misura. Questa che stiamo vivendo, pare, sia la sesta, ed è un grande pericolo perché per gran parte è causata dall’attività umana: le specie spariscono in fretta e nel momento sbagliato.

Tra le grandi minacce alla biodiversità, in cui è direttamente o indirettamente coinvolto l’uomo, ci sono i cambiamenti climatici che stanno accelerando, e l’aumento delle temperature globali, sia in atmosfera che nei mari. Le conseguenze che stiamo osservando sono molteplici e impattano diversi organismi: aumenta il bleaching dei coralli, l’acidificazione degli oceani, si spostano le correnti oceaniche e variano conseguente i parametri fisico-chimici che molte specie non riescono a tollerare, e si sa che se non ti adatti e non riesci a riprodurti, scompari. Ancora più difficile è la sopravvivenza se devi competere con un lontano conoscente che fino a quel momento non avevi mai incontrato: le specie aliene, che si vengono a trovare in un areale che non è il loro proprio di origine, quasi sicuramente trasportate dall’uomo, sono un grande problema perché non solo minacciano le specie già esistenti in quel territorio, ma possono sconvolgere le relazioni trofiche delle comunità.

Altra grande minaccia è il crescente inquinamento, nelle acque, nell’aria, nel suolo, che crea dei danni sia fisici sia biologici agli organismi: basti pensare a tutti quelli che ingeriscono enormi quantità di plastica e rifiuti, avvelenati dalle sostanze sintetiche, costretti a spostarsi o a sparire perché non possono più sopravvivere nel loro habitat, ormai modificato. E poi ancora le deforestazioni, i centri urbani, strade che attraversano i boschi: gli ecosistemi sono stati nel tempo completamente stravolti dalle attività umane, e in molte aree del mondo di quello che c’era in origine non è rimasto più nulla. Ed è così che ci rendiamo conto che insieme alla biodiversità, sono gli interi ecosistemi che stanno sparendo, che stanno mutando e così degradati, hanno ben poco da dare. Salvaguardare le specie che conosciamo ci dà la possibilità di conservare anche quelle che dobbiamo ancora scoprire, preservando l’integrità di tutto l’ecosistema. Questo ci permette di capire un po’ meglio come funziona questo pianeta, almeno fin quando a sparire saremo noi.

La soluzione al mantenimento del nostro benessere sta dunque nella comprensione dei meccanismi della natura e nel miglioramento della conoscenza della diversità biologica, di cui noi facciamo, inevitabilmente, parte.

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