Il 22 gennaio 1990 muore Giorgio Caproni, il poeta ateo che aveva bisogno di credere

Nonostante Caproni abbia dovuto attendere a lungo prima di vedere riconosciuta la propria grandezza, è oggi evidente il suo ruolo fondamentale nella letteratura del Novecento.

La poesia di Giorgio Caproni, pur avendo avuti estimatori fin dai suoi esordi, raggiunse la fama solo nel 1975 con la pubblicazione del “Muro della terra”. Da allora si susseguirono moltissimi premi, onoreficenze e inviti che sancirono l’importanza della produzione caproniana nel panorama culturale del Novecento.

Una vita tra cattedre, guerre e riconoscimenti

Giorgio Caproni nasce a Livorno il 7 gnnaio 1912. Nel 1922 a causa del fallimento della ditta per cui lavorava il padre la famiglia si trasferisce a Genova, che divenne la città d’elezione per il futuro poeta, a cui rimarrà sempre legato. Allo studio del violino affiancò la vocazione poetica finché questa non lo portò ad abbandonare gli interessi musicali per dedicarsi completamente alla poesia. Nel 1935 consegue da privatista il diploma magistrale e nel 1938 si trasferì a Roma dopo aver vinto il concorso come maestro elementare. Quando nel 1940 l’Italia scese in guerra al fianco della Germania nazista, Caproni venne inviato al confine con la Francia: un’esperienza che definisce grottesca e dal quale nacque un diario di guerra. Entrò poi nella Resistenza con il compito di occuparsi dei rifornimenti alimentari della popolazione civile e dell’educazione dei ragazzi. Dopo la fine della guerra, tornò a Roma dove rimase continuando a svolgere il lavoro di insegnante. Nel frattempo aveva continuato a scrivere versi, nel 1941 era uscita la sua raccolta “Finzioni”, a cui era seguita “Cronistoria”.  Si dedicò anche alla scrittura di molti racconti e alla traduzione dal francese di molti autori (Baudelaire, Proust ecc). Il primo vero grande successo è dovuto a “Il muro della terra”, nel 1975, e successivamente cominciò a ricevere numerosi inviti da prestigiore istituzioni internazionali di cultura. Vinse anche il premio Cittadella con l’antologia “L’ultimo borgo” e anche i suoi prodotti successivi furono accolti con molteplici premi e riconoscimenti. Non potè tuttavia assistere alla pubblicazione della sua ultima raccolta di versi, “Res amissa”: morì infatti il 22 gennaio 1990.

Il poeta artigiano

Il ritratto che Caproni dava di se stesso era quello del “modesto artigiano”. Con questa espressione voleva indicare il suo essere unicamente preoccupato di scrivere e creare bei versi, come l’antico vasaio che senza pensare ai problemi teorici si cura esclusivamente di modellare vasi piacevoli da guadare. Caproni rimase nella sua poetica estremamente fedele a questa visione “artigianale” di poesia, mostrando una innegabile perizia tecnica e una conoscenza profonda della tradizione lirica italiana e non solo. Nonostante fu contemporaneo degli ermetici, Caproni non fu un poeta simbolista, ma nutrì i suoi versi di luoghi, figure e situazioni allegoriche. Le più frequenti scene allegoriche presenti nella sua poetica sono legate al tema del viaggio, dell’ascensione, dell’osteria, della caccia. A volte, soprattutto nei suoi primi componimenti, la materia viene prese direttamente dalla realtà e sottoposta a un processo di trasfigurazione. Con il tempo tuttavia il poeta rinuncerà a questo legame residuo con la vita quotidiana.

Il canzoniere della sua vita

Nei vent’anni compresi tra la pubblicazione del primo libro poetico, “Come un’allegoria” (1936) e l’editio princeps del “Passaggio di Enea” (1956), Caproni costruì una sorta di canzoniere della propria vita, dalla giovinezza alla piena maturità. L’opera si compone di tre libri: nei primi due ritroviamo le raccolte precedenti mentre nell’ultimo confluiscono i testi più recenti. La stagione della giovinezza è delimitata da una trilogia costituita da “Come un’allegoria”, “Ballo a Fontanigorda” e “Finzioni”. Viene evocato il tempo di chi si tuffa nel mondo luminoso della vita, un tempo fatto di sensazioni carnali, ma anche un tempo segnato dalla morte della donna amata, Olga, che manifesta l’estrema labilità dell’esistenza. La sezione “Cronistoria” ha per protagonista Olga e si presenta come un piccolo canzoniere in morte della fidanzata, troppo presto strappata al poeta da un destino crudele. Nella sezione “Il passaggio d’Enea” irrompe la violenza della storia, in particolare nella sezione degli “Anni tedeschi” viene presentato il dramma collettivo della guerra. Questi sono i testi più ardui della sua opera poetica. La parte più significativa e recente del “Passaggio d’Enea” è tuttavia la seconda, intitolata “Le stanze”, in cui viene documentato il disincanto della coscienza, una coscienza incapace ormai di scommettere sulla storia e sulla vita. L’Enea di Caproni è una versione sbiadida dell’eroe virgiliano: nonostante a entrambi sia stata affidata la missione di ricostruire un mondo distrutto dalla guerra, l’eroe moderno si rende conto dell’impossibilità di sfuggire agli anni bui.

Il tema della morte

Il tema della morte e della labilità dell’esistenza percorre l’intera opera caproniana. Questo tema è legato alla morte precoce della madre e della fidanzata Olga. L’angoscia del nulla che attende inesorabilmente tutte le creature crea nel poeta uno struggente desiderio di credere. Il poeta, ateo, ha bisogno di credere e arriva a pregare non “perché Dio esiste”, ma “perché Dio esista”. Tuttavia questo desiderio rimarrà inappagato: l’unica certezza della vita rimane la morte. Ne “Il muro della terra” il poeta si dedica a una vana ricerca di un fondamento metafisico che dia in qualche modo un senso all’esistenza. Il muro diventa il perimetro di una prigione esistenziale in cui è rinchiusa l’esperienza del male che perseguita l’uomo. Centrale è il tema della perdita di Dio: questo è l’unico bene che potrebbe salvare l’uomo dalla morte e dare senso al dolore e alla vita.

 

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