Il 18 febbraio ricordiamo Beppe Fenoglio, lo scrittore partigiano che racconta l’epopea della Resistenza.
Nel clima di ricostruzione che si diffuse all’indomani della guerra, Fenoglio prese parte alla letteratura impegnata raccontando la Resistenza che aveva vissuto in prima persona.
Il partigiano Fenoglio
Beppe Fenoglio nasce ad Alba nel 1922 e cresce in un ambiente antifascista. Venne chiamato in guerra nel 1943 e, dopo l’armistizio dell’8 settembre con gli angloamericani, si unì alle forze partigiane. Prima combatté nelle brigate Garibaldi di orientamento comunista, successivamente con gli “azzurri” legati al generale Badoglio. Conosceva molto bene l’inglese, che studiò a partire dagli anni del liceo, e per questo motivo svolse la funzione di interprete e ufficiale di collegamento tra i partigiani e gli alleati. Travolto da tutto questo dovette abbandonare l’università che aveva cominciato presso l’Università di Torino, non conseguendo mai la laurea. Venne assunto presso una ditta vinicola di Alba, in cui si occupò del settore relativo alle esportazioni. Morirà il 18 febbraio 1963 a causa di un tumore ai polmoni.
La letteratura impegnata del terzo Novecento
Il periodo che indichiamo come terzo Novecento copre gli anni dal 1944 al 1978. Nell’immediato dopoguerra la letteratura seguì una precisa direttiva, quella della letteratura militante. Dopo le atrocità della Seconda Guerra Mondiale, gli intellettuali si dedicarono alla stesura di opere impegnate: la letteratura diventa una forma di intervento militante in campo politico e sociale. Si sviluppò quella che Calvino aveva chiamato come “la smania di raccontare”: ognuno aveva vissuto esperienze drammatiche, episodi eccezionali, che bisognava raccontare. La cultura si sentì chiamata a mettersi dalla parte degli ultimi, dalla parte del “mondo offeso”, e si sviluppò una letteratura che mirava a una ricostruzione civile e materiale del paese. Tra i vari generi che si svilupparono in linea con questo bisogno di raccontare, ricordiamo i romanzi epici. La straordinarietà degli eventi vissuti, i lutti, le tragedie, i sacrifici, il dolore che erano stati padroni in quegli anni, il riscatto politico e morale che il popolo aveva trovato con la Resistenza, fornirono agli scrittori materiale per riprendere il racconto epico.
Il racconto epico di Fenoglio
La migliore rappresentazione epica della Resistenza è sicuramente “Il Partigiano Johnny” di Fenoglio. L’opera è riconosciuta oggi come il capolavoro di Fenoglio e l’emblema della letteratura sulla Resistenza. La vicenda è ambientata tra la fine del 1943 e l’inizio del 1945, la stagione della Resistenza, e si snoda intorno alla figura di Johnny, uno studente di famiglia borghese, che decide di entrare a far parte della Resistenza per dare un senso alla sua vita, prima vuota e inutile. Si arruola dunque inizialmente nelle brigate Garibaldi, ma dopo essersi accorto di non condividere le idee di questi compagni, si unisce agli “azzurri”, con cui si sente più in sintonia , pur rimanendo un intellettuale inquieto, solitario e problematico. Possiamo sicuramente riconoscere in Johnny la controfigura di Fenoglio. L’episodio culminante dell’esperienza partigiana di Johnny è la liberazione di Alba. Dopo 23 giorni di resistenza tuttavia la città cade in mano a nazisti e fascisti e, sopraggiunto l’inverno del 1944, gli alleati ordinano ai partigiani di disperdersi per evitare di cadere nelle imboscate nemiche. Il comandante della formazione di Johnny dà appuntamento ai partigiani al 31 gennaio successivo per riprendere la guerra. Johnny vive a questo punto un’esperienza durissima, dovendo affrontare da solo la stagione invernale e le rappresaglie. Il giovane troverà la morte in una imboscata quando, radunatisi i pochi superstiti alla data prestabilita, rifiuterà di ricoprire il ruolo di interprete.