Quando gli scrittori adottano lo sguardo di un bambino per raccontare l’indicibile.

Non sono pochi i casi in cui gli scrittori scelgono di affrontare particolari – e spesso dolorosi – fatti storici adoperando come punto di vista quello di un bambino. Vediamo come questa peculiarità si dispiega all’interno di due romanzi: Il sentiero dei nidi di ragno di Italo Calvino e Molto forte, incredibilmente vicino di J. Safran Foer.
Come Calvino spiega la Resistenza
Il sentiero dei nidi di ragno è uno dei primi romanzi di Italo Calvino, pubblicato nel 1947. Al centro della storia troviamo Pin, un ragazzino di dieci anni che vive con la sorella in una città ligure. Il momento storico in cui si collocano le avventure di questo giovane ragazzo è il periodo della Resistenza, ma Pin non sa cosa sia e passa le sue giornate girovagando per i vicoli della sua piccola città. I suoi genitori non ci sono, così Pin deve badare a se stesso come meglio può e spesso il peso della solitudine si fa sentire. Gli altri bambini non vogliono giocare con lui perché è volgare, dice le parolacce e si atteggia come un uomo maturo, ma è solo un bambino e questo è dimostrato dal fatto che lui non si renda conto di ciò che sta accadendo attorno a sé: c’è la guerra fuori, ci sono la morte e la distruzione. Spesso cerca la compagnia di uomini adulti, per questo frequenta l’osteria del paese, dove ogni sera si recano alcuni suoi amici, che si divertono a passare il tempo bevendo e chiacchierando. Lì Pin ascolta per la prima volta parole come fascio e gap ma non capisce eppure resta a origliare, fingendo di aver afferrato il significato di tutti quei termini. La sua vita cambierà del tutto quando, dopo aver rubato una P38 a un marinaio tedesco ed essere scappato dal paese, Pin incontra una banda di partigiani e inizia a vivere una vera e propria avventura. Vive con loro in un accampamento nei boschi, dove la brigata si nasconde tra una battaglia e un’altra, ma Pin, anche se coraggioso e curioso, è pur sempre un bambino: vuole solo affetto, compagnia e comprensione.

Molto forte, incredibilmente vicino e la missione di Oskar
Jonathan Safran Foer pubblica questo romanzo nel 2005 e decide di raccontare attraverso gli occhi di Oskar, un bambino di nove anni, uno dei momenti più tristi nel corso della storia: l’attacco terroristico alle Torri Gemelle a New York, avvenuto l’11 settembre del 2001. Nel romanzo, è il padre di Oskar a perdere la vita quel giorno e lui, pieno di dolore, da quel momento impiega tutte le sue energie per portare a termine una missione, che lo terrà occupato per mesi interi. Pur portando a termine questa missione, le sue aspettative saranno deluse. Ma ciò che qui è importante da osservare è che, nel testo si evince che Oskar non vuole davvero giungere alla soluzione, poiché questo significherebbe mettere un punto a tutta la vicenda. Ecco allora che si presenta il significato della storia: Oskar affronta l’avventura con grande enfasi ma lo fa perché è l’unico modo per sentire ancora vicino il suo papà. Terminare le sue ricerche vuol dire tornare alla vita reale e dover affrontare il lutto, dover fare i conti con il silenzio assordante causato dall’assenza di un padre che non tornerà più. Oskar ha solo nove anni e non può (e non vuole) capire ciò che sta vivendo.
Perché raccontare i fatti storici dal punto di vista di un bambino
Tanto in Calvino quanto in Safran Foer vi sono elementi che ritornano e che contribuiscono enormemente a tracciare il profilo del bambino-protagonista: la solitudine, la perdita di uno o di entrambi i genitori, la curiosità, la voglia di vivere e comprendere il mondo. Pin e Oskar guardano le cose dal basso: un punto di vista diverso rispetto a quello che può avere un adulto, se inserito nel medesimo contesto. I teorici della letteratura spiegano che utilizzare questo diverso e inusuale punto di vista produce un effetto di straniamento: una visione distorta o, semplicemente, differente delle cose e della realtà. Indubbiamente, il risultato è sorprendente e avvincente. Lo scrittore, pur attraverso lo sguardo di un ragazzino, riesce a restituire alla realtà storica dei fatti quel carattere di sconvolgente intensità.