Riflessioni e dibattiti sull’amore omosessuale non caratterizzano solo l’epoca contemporanea, ma anche quelle passate. Ecco come lo raccontano De André e Platone.
Penna indiscussa del panorama musicale italiano, Fabrizio De André, si è impegnato nella sensibilizzazione della società per la società, non fuggendo da argomenti come la guerra, la prostituzione e, tra questi, anche l’amore omosessuale.
Il terzo sesso degli antichi
Nel Simposio di Platone, fra i vari argomenti, viene anche narrato il mito degli androgini. A farlo è il commediografo Aristofane, il quale puntualizza che, inizialmente, non esistevano solo l’uomo e la donna, ma anche un terzo “gruppo”, composto da coloro i quali avevano le caratteristiche sia dell’uno che dell’altra: gli androgini. Descritti come esseri duali, gli androgini avevano quattro orecchie, quattro mani e quattro gambe e dal collo, perfettamente rotondo, sporgevano due capi. Erano molto compatti e rotondi, forti e vigorosi. Perché, però, nell’antichità si credeva vi fossero tre generi piuttosto che due? In questo racconto il tutto diventa specchio della Natura: l’uomo nasce dal Sole, la donna dalla Terra, ma manca un componente: la Luna. Gli androgini sono i cosiddetti “figli della Luna” ed è per questa ragione che sono particolarmente tondi e si muovono secondo moti tondeggianti: perché hanno sia le peculiarità della madre e del padre.
Secondo il mito, gli androgini scompaiono dalla Terra per volere di Zeus, preoccupato della loro forza e di quella di tutti gli umani:
Io credo – disse – che abbiamo un mezzo per far sì che la specie umana sopravviva e allo stesso tempo che rinunci alla propria arroganza: dobbiamo renderli più deboli. Adesso – disse – io taglierò ciascuno di essi in due, così ciascuna delle due parti sarà più debole. Ne avremo anche un altro vantaggio, che il loro numero sarà più grande. Essi si muoveranno dritti su due gambe, ma se si mostreranno ancora arroganti e non vorranno stare tranquilli, ebbene io li taglierò ancora in due, in modo che andranno su una gamba sola, come nel gioco degli otri.
I figli della Luna di De André
Al Teatro Smeraldo di Milano, il 19 Gennaio del 1992, De André poco prima di cantare Andrea fa questo iniziale discorso. E’ un modo per introdurre una canzone molto velata, ma anche molto sentita. Sebbene a primo acchito possa non sembrare, Andrea non si rivolge a un amore femminile, ma maschile e Faber sfrutta l’occasione per sottolineare l’importanza d’espressione, la libertà di essere sé stessi. Nel farlo sfrutta l’espressione di Platone, apostrofandoli in maniera poetica come “figli della Luna”. Senza filtri, il cantautore usa parole come diversi, culi ricordando come spesso, espressioni di questo tipo, provengano da una “strana forma di autocompiacimento”.
“Andrea”: l’amore omosessuale di De André
Un nome molto neutro dà titolo alla canzone, come a sottolineare l’importanza del tema e del contenuto. Travolto da una storia d’amore vittima della guerra, Adrea piange il suo amato, il quale è partito, ma non potrà più tornare. Stando al testo apprende la notizia da un foglio firmato del re che annuncia la sua morte:
Andrea s’è perso s’è perso e non sa tornare
Andrea s’è perso s’è perso e non sa tornare
Andrea aveva un amore, Riccioli neri
Andrea aveva un dolore, Riccioli neri.C’era scritto sul foglio ch’era morto sulla bandiera
C’era scritto e la firma era d’oro, era firma di re.
Andrea decide di non vivere senza il suo amore: molto esplicativa la rima interna, visivamente parallela tra “amore” e “dolore”, facce della stessa medaglia e uno causa dell’esistenza dell’altro. Dal profilo francese e gli occhi colore del boschi, il soldato lascia in Andrea unvuoto tale da portarlo al suicidio. Non ci sono indicazioni nella canzone che possano dare qualche informazione in più in merito all’amore vissuto, Andrea si profila come un triste epilogo di leggitimizzazione e uguaglianza.
Il secchio gli disse: Signore, il pozzo è profondo
più fondo del fondo degli occhi della Notte del Pianto.Lui disse – Mi basta mi basta che sia più profondo di me.
Lui disse – Mi basta mi basta che sia più profondo di me.