Stare con gli altri non è essere con gli altri : lo Heidegger esistenzialista può aiutarci a superare le “correnti gravitazionali” di Battiato, guarendoci da tutte le malattie del tempo?

La cura heideggeriana
Questo articolo si focalizza essenzialmente sull’opera maggiore di M. Heidegger: “Essere e Tempo”. Egli lavora sul solco tracciato dal maestro E. Husserl, il quale aveva individuato nello sfondo dei fenomeni la chiave di lettura del mondo. L’allievo contesta il maestro perché ci aveva visto giusto… ma non aveva avuto il “coraggio” di andare fino in fondo. Quando si afferma che tutto soggiace all’orizzonte visivo significa ammettere che ciò che è, è ciò che è osservabile qui e ora. Però, sottolinea Heidegger, non esiste solo la dimensione dell’attualità: il soggetto non è uno sguardo puro, ma è soggetto pratico. Si tratta dell’esistenza come campo delle possibilità in cui il Dasein, l’esser-qui-dell’-essere, è l’ente che risiede presso le cose. Tutto molto astruso, complicato… legittimo. Ma cosa contraddistingue l’essere heideggeriano dall’essere di tutta la tradizione? Una nuova dimensione della temporalità che allude a un’esperienza pratica, di familiarità con il mondo e con gli altri. Proprio indicando la praticità infatti, Heidegger introduce la “cura” attraverso 3 dimensioni: il prendersi cura delle cose, la gettatezza e la progettualità. La dottrina filosofica assume connotati completamente visionari, in quanto, al fine di comprendere davvero, ci si deve immergere in una dimensione pratica ( e anche affettiva: fu Hannah Arendt l’ispiratrice dell’opera) con il prossimo.
La cura di Battiato
La cura, ascoltando la canzone di Franco Battiato, sembra connotare più psicologismi che speculazioni teoretiche e, inoltre, non appaiono impersonalismi come in Heidegger: “Avrò cura di te”, canta infatti con dolcezza il cantautore italiano. Tuttavia, un verso aiuta a comprendere meglio le oscurità del filosofo tedesco:” Percorreremo assieme le vie che portano all’essenza.” Heidegger lavora molto sulla questione dell’ inter-soggettività e, non a caso, uno dei concetti fondamentali riguardo proprio il “discorso”. Perché? Perché le cose si rivelano quando le nominiamo, sono in relazione tra loro così come l’uomo è in relazione con altri uomini. Il nostro discorrere e il nostro percorrere alludono sempre alla dimensione plurale, tanto che si passa dal Dasein, l’esser-ci, al Mitsein, con-esserci. Purtroppo, laddove il rimedio per Battiato sembra risiedere nella fiducia instaurata con il prossimo, Heidegger sembra intravedere sfumature di negatività: l’inter-soggettività può essere fonte di pericolo, di omologazione e di sottomissione. Dentro la propria esistenza sono in vigore sia il rischio di perdersi che quello di trovarsi, cercando, insieme agli altri, il rimedio adatto per rimanere a galla.
Mitsein o isolamento esistenziale?
Per ciò che concerne la conoscenza ultima, Heidegger è fiducioso nel trovare e dare un senso a questo mondo. Ma questo “senso” si riferisce all’apertura: l’essere è apertura a un’infinità di possibilità. Bisogna imparare a scegliere, a tessere questi infiniti capelli in una treccia luminosa che abbia senso per noi… come canta Battiato:” Tesserò i tuoi capelli come trame di un canto.” Purtroppo, come già scritto in precedenza, Martin Heidegger non è fiducioso nelle relazioni sociali, che rischiano di oggettivare l’esserci nell’altro da sé. Dunque, sembra essere proprio l’apertura quell’arma a doppio taglio della dottrina del pilastro tedesco perché essa corrisponde a un’infinità di scelte che rischiano di condurre l’uomo all’oblio dell’angoscia. In conclusione, dove trovare il segreto per riuscire a non annegare? Ancora sbagliamo domanda: non è dove… ma con chi.