Nel corso del tempo può cambiare la percezione del suono o il significato che gli conferiamo, ma rimarrà sempre un aspetto letterario da cui nessun autore può prescindere.
L’estremizzazione della funzione fonica di uno dei più antichi autori latini è prova di come il suono sia, dopo la metrica, l’elemento poetico fondante. E una simile importanza la ritroviamo in prosa, come dimostrò la necessità di scrivere una nuova traduzione della saga di Harry Potter.
Il segreto del successo enniano
Ennio è spesso sottovalutato poiché non lo si può conoscere nella sua interezza: di lui ci sono pervenuti pochissimi frammenti in confronto all’enorme mole di ben diciotto libri. La mancanza all’interno della sua opera di elementi morali o estetici infatti è stata la principale causa di oblio in periodo medievale. Ma quando autori come Dante o Petrarca alludevano a passi di autori classici come Ovidio o Virgilio, non sapevano in realtà che quelle implicite citazioni avevano spesso un‘eco ancor più antico, risalente a Ennio. Questi creò un formulario poetico che venne ripreso da tutti i suoi successori, gettò le basi per la poesia epica e si fece promotore di nuovi generi letterari, tanto da poter essere considerato il padre della letteratura latina, come affermò lo stesso Orazio. Ennio in persona si considerava un alter Homerus, convinto che l’anima del più grande poeta greco si fosse reincarnata nel suo corpo. Senza di lui non ci sarebbero state senza dubbio opere come, ad esempio, il De rerum Natura di Lucrezio o l’Eneide di Virgilio, o perlomeno non come le conosciamo noi oggi. E la sua memorabilità, testimoniata dall’arte allusiva dei poeti antichi, era soprattutto dovuta al particolare uso del suono che conferiva alle parole.
Ennius et sapiens et fortis et alter Homerus
La maniacale attenzione per il suono delle parole
In antichità le figure di suono non avevano solo la funzione di rafforzare un espressione o di rendere più concreta un’immagine come nella letteratura italiana (si pensi ad esempio all’anafora Per me si va del III canto dell’Inferno o al fru fru fra le fratte pascoliano). Avevano anche e soprattutto, in particolare in Ennio e nel periodo arcaico, la ben precisa finalità di imprimersi nella memoria di chi leggeva o ascoltava. In questo modo si favoriva la trasmissione orale del verso o dei versi in un mondo in cui lo scritto era considerato quasi un lusso. Ed è così che un autore sarebbe stato più facilmente ricordato dai posteri. In questo Ennio divenne un maestro, tanto che i suoi versi, nonostante i pochi frammenti che ci sono rimasti, li ritroviamo citati e ripresi da moltissimi suoi successori, inconsapevolmente addirittura in Dante. Fra i celebri versi presi dagli Annales si ricordi ad esempio At tuba terribili sonitu taratantara dixit, in cui fra tutte le figure di suono spicca l’allitterazione della dentale “t”. Memorabile anche il verso composto da soli participi presenti: maerentes flentes lacrimantes commiserantes. Fino ad arrivare all’estremo con un’impressionante sequenza di allitterazioni: O Tite tute Tati tibi tanta tyranne tulisti.
Il suono nei libri di Harry Potter
Ma il suono delle parole è sempre stato, sino ad oggi, motivo di grande interesse da parte di chi si occupa di scrittura. E un diretto esempio ce lo forniscono i libri di Harry Potter. Possediamo infatti due distinte traduzioni. Quella più recente, assai criticata dai fan, ha cercato non in modo ingiustificato di rendere i toponimi e antroponimi il più possibile fedeli fonicamente all’originale. In questo modo, il nostro orecchio italiano può percepire i suoni dei nomi più similmente a come un lettore inglese li percepisce in lingua originale. E questo significa talvolta lasciare il nome così com’era.
Qualche esempio
Nell’ultima traduzione si è deciso di riportare i nomi di Neville Paciock e di Gazza alla loro forma originale, ovvero Neville Longbottom e Filch. Ma i nomi hanno spesso anche un valore evocativo che non va trascurato e che si cerca solitamente di restituire in ogni traduzione. È questo il caso di Albus Silente, che in inglese è chiamato Dumbledore (nome antico per indicare il calabrone, dal momento che l’autrice aveva immaginato il personaggio come un anziano mago che borbottava aggirandosi per il castello di Hogwarts). I traduttori italiani hanno scelto di adottare la forma “Silente” poiché secondo loro più conforme alla personalità del personaggio. E si pensi poi al Ministro della Magia Cornelius Caramell, che traduce Cornelius Fudge. Il fudge è infatti un tipico dolce inglese a base di caramello. Tuttavia, l’ultima traduzione ha deciso di riportare il nome all’originale, sacrificando il diretto legame con il caramello, in favore di un nome che avesse un suono più morbido e che riflettesse dunque l’indulgenza del Ministro. Chiudiamo infine con un ultimo esempio: Hufflepuff, il nome di una delle quattro casate della scuola di magia. Esso è stato reso una prima volta con “Tassorosso”, per poi esser cambiato nel famigerato “Tassofrasso”, che ha diffuso forte rancore tra i lettori più affezionati alla prima traduzione. “Tassofrasso” in realtà, oltre a eliminare l’errore cromatico, incoerente con la narrazione dell’opera, era volto a restituire l’assonanza e consonanza del termine inglese. Sembra quindi rispondere semplicemente a un’esigenza di stampo enniano di rendere il nome orecchiabile il più possibile.