Guardarsi negli occhi? Più facile a dirsi che a farsi: l’Eye-contact experiment

Gli occhi dicono tantissimo di una persona. Rivelano pensieri, sentimenti, emozioni, quanto una persona ti stia prestando attenzione e quanto è interessata dalle tue parole. Pensate allo sguardo che si scambia una coppia innamorata, l’intesa, la complicità e la serenità che si nasconde dietro quegli occhi. Pensate allo sguardo di disprezzo di una persona quando riceve un torto, o il dolore della perdita di una persona cara: senza gli sguardi, probabilmente, non saremmo in grado di inferire la maggior parte dei pensieri, e dei sentimenti, delle persone. Eppure, proprio per il suo essere così denso, lo sguardo a volte viene evitato. Forse per ritrosia, forse per timidezza, forse per riservatezza o, più semplicemente, perchè non si riesce a sostenere. Per combattere l’apatia che, sempre più, sta avvolgendo le nostre città, è stata lanciata, qualche tempo fa, un’iniziativa chiamata Eye-contact experiment. Tuttavia, non sempre le persone non sostengono lo sguardo per una ragione puramente pudica.

Un minuto in silenzio 

L’Eye-contact experiment era un esperimento sociale che venne lanciato nel 2016 in Australia tramite il The Liberators International. Ha avuto così tanto successo che, ben presto, si diffuse in tutto il mondo, fino ad arrivare in Italia. Diversi comuni di tutta la penisola hanno deciso di adottare questa iniziativa. Ben lontana dall’essere un flash mob o un raduno, si trattava di un semplice appuntamento per partecipare ad un’esperienza da vivere in compagnia oppure da soli. Il fine era quello di riportare a galla quei sentimenti di unione e di contatto con le essenze delle varie persone che, per diversi motivi, in questi anni si sono assopiti facendoci sprofondare in un abisso di grigia incomunicabilità. L’esperimento non aveva delle regole precise: bastava presentarsi nella piazza all’ora stabilita, sedersi e guardarsi l’un l’altro per circa un minuto. 

Cosa significa guardarsi negli occhi?

Le persone hanno bisogno di stabilire un confine immaginario con gli altri che viene chiamato spazio personale. Lo spazio personale, per ogni individuo, è sacro e non deve essere violato se non sotto esplicito consenso. Lo sguardo di una persona non è altro che una “finestra” sul mondo interiore degli individui. Proprio per questo motivo, molto spesso, i più timidi non riescono a sostenerlo. Spesso si tende ad avere timore di lasciare intravedere ad un’altra persona anche solo una piccola parte del nostro mondo interiore. Si tratta di mostrarsi per quello che si è, con le proprie insicurezze, con le proprie paure e con i propri sentimenti. Tuttavia, lo scopo è proprio questo: fare sentire le persone fisicamente, e spiritualmente, più vicine le une alle altre. La questione, però, è stata analizzata da un punto di vista più scientifico ed è risultato che, alcune volte, il motivo per il quale non riusciamo a mantenere il contatto visivo con un’altra persona è tutt’altro che romantico. 

Il ruolo del cervello

Lo studio condotto da Shogo Kajimura all’Università di Kyoto si è focalizzato sulla tendenza delle persone a distogliere lo sguardo durante una normale conversazione. L’ipotesi iniziale riguardava una tendenza delle persone più timide a non riuscire a mantenere il contatto visivo per una questione di inibizione. Tuttavia, l’esperimento ha mostrato ben altro: durante una conversazione, il cervello non si focalizza solo sul discorso che si sta intrattenendo, ma analizza, al contempo, moltissime altre informazioni. Lo studioso giapponese, sulla base di queste premesse, ha chiesto a delle persone di associare parole ad altri termini mentre un gruppo di persone si concentrava su alcuni volti che venivano proiettati sullo schermo di un computer, mentre altre erano libere di rispondere senza alcun tipo di stimolo secondario. 

I RISULTATI: la ricerca ha mostrato che le persone che dovevano concentrarsi sui volti mostravano una maggiore esitazione nel fornire la risposta alla domanda rispetto a chi poteva concentrare le proprie risorse cognitive solo sul fornire la risposta corretta. Da queste “esitazioni” Kajimura ha dedotto che le risorse cognitive spese per trovare la risposta ai quesiti che venivano posti erano le stesse che venivano utilizzate per elaborare altri stimoli come, per esempio, un volto. Ciò spiegherebbe, quindi, il motivo per il quale si tende a distogliere lo sguardo durante una conversazione: se ci dovessimo concentrare troppo a lungo su un dettaglio, ci verrebbe molto più difficile riuscire a concentrarci e comprendere quanto una persona ci sta dicendo in quel momento!

Dunque, la ricerca ha dimostrato che non sempre le persone non ricambiano lo sguardo per timidezza o per non dover uscire dalla loro comfort zone. Questa prospettiva, seppur molto romantica, non combacia, infatti, con tutte le situazioni che potremmo sperimentare. Potremmo, infatti, distogliere involontariamente lo sguardo anche con una persona che conosciamo particolarmente bene, ma solo perchè ci interessa troppo quello che ci sta raccontando.

Alice Tomaselli

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