Green Chemistry: un passo verso la salvaguardia del pianeta

La nascita dell’industria chimica ha portato ad un netto miglioramento della vita dell’uomo. Parallelamente a questo fenomeno ci sono stati degli effetti negativi che coinvolgono principalmente l’ambiente che ci circonda, condizionando indirettamente anche la vita dell’uomo. Nasce così una nuova concezione della chimica, nota come Green Chemistry. Non è solo una disciplina a sé, ma una versione più filosofica ed etica che abbraccia ogni ramo di questa scienza.

Lo sviluppo dell’industria chimica ha rappresentato un notevole passo avanti nella crescita del genere umano. La creazione di nuovi materiali e nuovi farmaci, ha permesso all’uomo di migliorare le proprie condizioni di vita. Ma esiste un’altra faccia di questa medaglia che presenta degli aspetti negativi a livello di impatto ambientale. La crescita incontrollata di questo settore ha portato alla produzione di rifiuti i quali contenevano sostanze molto dannose per l’ambiente.

Credit: www.york.ac.uk

Da quando ci si è accorti di questo problema, si è cercato di porvi rimedio. Nasce così quella che è la Green Chemistry, una versione più etica ed ecosostenibile della chimica. Lo scopo di questa disciplina è quello di fornire all’industria chimica dei processi sostenibili sia a livello economico (tramite riduzione dei costi di produzione e smaltimento dei rifiuti) che ambientale producendo meno rifiuti, ponendo maggiore attenzione alla pericolosità per l’ambiente e l’uomo. Questi due aspetti, per quanto possano sembrare differenti, sono strettamente correlati.

I 12 principi della Green Chemistry

La Chimica Verde nasce grazie a Paul Anastas, direttore del Centro per la Green Chemistry dell’Università di Yale, e John Warner, co-fondatore e presidente del Warner-Babcock Institute for Green Chemistry. I due hanno delineato i 12 principi che regolano questa nuova disciplina.

  1. Ridurre la quantità di rifiuti.
  2. Un processo di sintesi deve far si che il prodotto finale contenga la maggior parte della massa dei reagenti. Questo comporta che la massa del prodotto deve essere più vicina possibile alla somma delle masse di tutti i reagenti, influenzando la quantità di rifiuti.
  3. Progettare le sintesi in modo che i prodotti abbiano bassa tossicità o, possibilmente, nulla.Green Chemistry
  4. Sostituire composti chimici tossici con altri composti meno tossici ma aventi la stessa funzione.
  5. Ridurre l’uso di solventi e altri materiali. Generalmente questi rappresentano la maggior parte dei rifiuti di un processo di sintesi. Quando necessario andrebbero usati materiali non tossici.
  6. Progettare una reazione in modo da massimizzarne l’efficienza al minor consumo energetico possibile.
  7. Preferire l’uso di sostanze provenienti da fonti rinnovabili (come le biomasse) quando possibile. Si deve però considerare che anche le sostanze provenienti da fonti rinnovabili possono essere pericolose, quindi non sempre è conveniente farlo.
  8. Progettare una sintesi in modo da evitare delle reazioni inutili consentendo quindi di ridurre i rifiuti formati.
  9. Utilizzare dei catalizzatori. I catalizzatori sono sostanze che consentono la trasformazione dei reagenti ma che non vengono modificati. Queste sostanze possono essere usate in quantità piccole e spesso possono essere recuperate e riutilizzate.
  10. Creare delle sostanze che possono essere facilmente degradate una volta esaurita la loro funzione (es. bioplastica) riducendo i costi del processo.
  11. Sviluppo di tecniche di analisi in grado di prevenire l’inquinamento tramite analisi in tempo reale.
  12. Ridurre l’uso di sostanze infiammabili e/o esplosive per abbassare il rischio di incidenti.

La plastica amica dell’ambiente

La Green Chemistry non si occupa solo  di problemi legati all’industria, ma anche di questioni più vicine a noi. Uno dei problemi di cui si sente parlare spesso in campo ecologico è la presenza di plastica negli oceani (e nell’ambiente in generale). Uno dei tentativi di soluzione di questo problema è l’uso della bioplastica. Un esempio è quello della plastica derivante dall’acido lattico. Questa sostanza può essere facilmente ricavata dal glucosio ottenibile dalle biomasse. La cellulosa o l’amido contenuta nei rifiuti vegetali sono polimeri di glucosio, ovvero lunghe catene formate da tante molecole di questo zucchero legate tra di loro. Una volta demolite queste catene, il glucosio può essere trasformato in diverse sostanze, tra cui l’acido lattico. Infine, questa molecola viene fatta polimerizzare dando origine all’Acido Polilattico (o PLA, Polylactic Acid).

Sintesi del PLA

Il vantaggio di questo tipo di plastica deriva principalmente dalla semplicità con cui alla fine può essere smaltita. Questo materiale può decomporsi facilmente tramite l’uso di microrganismi rendendo il processo poco costoso. L’impatto ambientale è notevolmente ridotto rispetto alla plastica non biologica. Materiali in PLA possono essere usati per oggetti di comune utilità, come buste, piatti e bicchieri usa e getta, ma anche in ambito chirurgico. Gli impianti chirurgici fatti in PLA, una volta svolta la loro funzione, vengono smaltiti dall’organismo. Il paziente quindi non avrà la necessità di essere operato nuovamente per rimuovere il materiale impiantato. Inoltre, i materiali in bioplastica sono facilmente smaltibili nell’ambiente proprio perché facilmente attaccabile dai microrganismi. Ma questo non significa che ognuno di noi è autorizzato a rilasciare nell’ambiente oggetti in bioplastica. Ci di deve ricordare inoltre che la salvaguardia dell’ambiente comincia sempre da ciascuno di noi.

Michele Sciamanna

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