I “soavi licor” degli amori di Rinaldo e Armida nella Gerusalemme liberata del manierista Torquato Tasso inebriano le tempere del pittore italiano Francesco Hayez, a metà tra neoclassicismo e romanticismo.
La tavolozza di Hayez ha i colori che servono a dipingere il locus amoenus, complice degli amori di Rinaldo e Armida, e lo scudo, metafora guerresca e virile. Il canto XVI della Gerusalemme liberata canta l’amore peccaminoso tra il giovane e focoso Rinaldo, paladino cristiano, e la bellissima principessa siriana, e quindi musulmana, Armida. Personaggio metamorfico per eccellenza, esperta nelle arti magiche, simula e dissimula in qualità di ministra di Plutone. L’amore per Rinaldo sarà frutto della logica dell’inganno o si rivelerà autentico?
“Succhi amari” e “soavi licor”
Il canto I della Gerusalemme liberata è da considerarsi la preistoria del XVI, e dell’opera tutta. In una sorta di salto all’indietro, Tasso, dopo aver chiesto alla Musa di ispirarlo e di rischiarare il suo canto, le chiede di perdonalo.
O Musa, tu, che di caduchi allori
Non circondi la fronte in Elicona,
Ma su nel Cielo infra i beati cori
Hai di stelle immortali aurea corona;
Tu spira al petto mio celesti ardori,
Tu rischiara il mio canto, e tu perdona
S’intesso fregj al ver, s’adorno in parte
D’altri diletti, che de’ tuoi le carte.
Il poeta era venuto meno al precetto di verità e moralità. Contestualizzare la richiesta ha senso. Nel 1536 la tipografia veneziana di Aldo Manuzio pubblica la traduzione latina della Poetica di Aristotele, dalla quale vengono estrapolate delle norme circa i generi tragici: il dramma (tragedia e commedia) e l’epica. L’unità d’azione, di tempo e di luogo, insieme con il precetto di “verisimiglianza e necessità”, non dovevano essere trasgrediti. Ma quelle di Aristotele erano delle semplici osservazioni. Se da una parte la riscoperta alimenta i dibatti letterari e favorisce la nascita della critica letteraria, dall’altra ogni autore doveva misurarsi con queste regole, compreso Tasso. In più il poeta viveva sotto il clima radicale e rigido della Riforma Cattolica, sancita dal Concilio di Trento, e dagli strumenti che essa aveva creato per controllare autori, libri ed editorie, come l’Indice dei libri proibiti. Come se non bastasse l’orizzonte d’attesa del lettore era una condizione sufficiente e necessaria da rispettare, specie dopo il successo dell‘Orlando furioso di Ludovico Ariosto. Allora l’autore che visse tra genio e follia coniugò il tutto con l’unità mista, l’elevazione morale e il verosimile. Dunque quando i precetti di verità e moralità vengono meno è solo per una funzione pedagogica. Gli “incanti” e gli “amori” vengono criticati dalla revisione romana. Ma per giustificare i “fregi” e i “diletti” della sua opera Tasso usa la similitudine del fanciullo malato.
Così all’egro fanciul porgiamo aspersi
Di soavi licor gli orli del vaso:
Succhi amari, ingannato, intanto ei beve,
E dall’inganno suo vita riceve.
Questi per guarire necessita di “succhi amari”, che possono trasformarsi in “soavi licor” se solo si aggiungesse un favo di miele. La stessa similitudine che tempo addietro utilizzò Lucrezio nel suo De rerum natura, piuttosto che Virgilio nella descrizione del regno delle api, piuttosto che Dante nel suo De vulgari eloquentia a proposito della potio da preparare ed elargire all’umanità tutta, serve a ingannare il lettore.
Il “vago” e la “diletta”
L’inganno è il fil rouge della Gerusalemme liberata: è l’inganno a tenere in piedi l’eden precario di Armida e l’amore per Rinaldo. Nel prequel del canto XVI abbiamo visto Rinaldo lasciare l’accampamento crociato insediato attorno a Gerusalemme perché un demonio ha sobillato a Gernando di sfidare il giovane, suo rivale. Rinaldo ha la meglio e pensa di farla franca, ma la giustezza di Goffredo, capitano della crociata per investitura divina, non lo risparmia. In preda alla passione dell’orgoglio sceglie di autoesiliarsi, e poco dopo viene fatto prigioniero insieme con gli altri crociati nel palazzo di Armida. I due si innamorano e si trasferiscono nelle Isole Fortunate, le attuali Canarie, nel bel mezzo dell’Atlantico, che secondo la “geografia moralizzata” e simbolica, prefigura il luogo più lontano da Gerusalemme, e dunque il posto dal massimo grado di erranza fisica e morale. Mentre il “vago” e la “diletta” vivono indisturbati la loro storia d’amore, Goffredo apprende dal cielo che Rinaldo è fondamentale per l’esito felice della crociata, così invia Carlo e Ubaldo a recuperare il cavaliere. La prima tappa è Ascalona, lì un mago li ragguaglia circa la condizione di Rinaldo. Poi salpano su una nave guidata dalla Fortuna, affrontando tentazioni e peripezie, prima di raggiungere la destinazione. Carlo e Ubaldo immuni all’incantesimo e con la mappa, dono del mago, superano il labirinto circondato da logge di demoni. Poi soffermano lo sguardo sulle scene dei portali: una ritrae Ercole, che a causa dell’amore per Onfale, adesso svolge lavori domestici; nell’altra Antonio muore in grembo a Cleopatra dopo esser fuggito dalla battaglia di Azio. Entrambe le scene sono un’allegoria degli amori di Rinaldo e Armida, peccaminoso non solo perché misto, ma perché ha tolto valore alla missione del crociato. A Carlo e Ubaldo si apre la vista ad un giardino incantato e artificioso che Armida ha messo su per ingannare Rinaldo. Apparentemente il giardino segue le coordinate petrarchesche del locus amoenus: acque cristalline, erbe e piante, un’eterna primavera e fiori che sbocciano dentro fiori. Non trascuriamo il fatto che Tasso sia un manierista, colui che fa “alla maniera di”, che cerca di raggiungere e superare i modelli. Il motto del manierismo è “l’arte imita l’arte”, ma adesso in una sorta di vertigine manieristica è la natura a imitare l’arte. Il tema dell’inganno ritorna con un pappagallo, simbolo dell’esotismo e del manierismo pedissequo, cioè di una poesia falsa e ingannevole, che pronuncia un discorso edonistico sulle orme del carpe diem oraziano, volto a rimanere impresso nella mente del lettore fino al punto di far sorgere in lui il dubbio su una vita di abnegazione. Poi i sudori, i rossori, i capelli scomposti di Rinaldo e Armida. La diletta allora porge al vago uno specchio che però riflette l’immagine di Armida asimmetricamente. Eseguito dall’artista Hayez appena ventenne, il dipinto di scelta iconografica tassesca, ritrae parte di un’ottava del canto XVI.
Langue per vezzo: e ’l suo infiammato viso
Fan biancheggiando i bei sudor più vivo.
Qual raggio in onda, le scintilla un riso
Negli umidi occhj tremulo e lascivo.
Sovra lui pende: ed ei nel grembo molle
Le posa il capo, e ’l volto al volto attolle.
La rottura del filo dell’inganno
La ministra di Plutone si allontana per amministrare le sue carte, nel frattempo Carlo e Ubaldo irrompono sulla scena. Stavolta fanno specchiare Rinaldo in uno scudo, il cavaliere prova vergogna perché tutto l’alone magico attorno a lui scompare, ed è deciso ad abbandonare Armida. Sui tratti della Didone virgliliana, la principessa siriana lo insegue fino ai lidi, lo supplica, si strugge, sviene, si risveglia pronta a vendicarsi. Dobbiamo aspettare il XX canto, nonché l’ultimo, per conoscere il destino dei due amanti. Armida ha abbandonato la causa musulmana, le arti magiche, la sua bellezza, e si arruola nell’esercito a Gaza mossa solo da questioni personali. Nell’ultima battaglia campale scocca una freccia verso Rinaldo, sperando di non raggiungerlo. Sentendo la fine dei tempi vicina, si isola per darsi alla morte.
E ’l bel volto, e ’l bel seno alla meschina
Bagnò d’alcuna lagrima pietosa.
Quale a pioggia d’argento e mattutina
Si rabbellisce scolorita rosa,
Tal’ ella, rivenendo, alzò la china
Faccia, del non suo pianto or lagrimosa.
Tre volte alzò le luci: e tre chinolle
Dal caro oggetto, e rimirar nol volle.
Le lacrime di Rinaldo che soccorre Armida, la rinvigorisco come la rugiada fa con le rose. I lumi di lei, ora lo guardano, ora no. Rinaldo non solo salva Armida dal suicidio ma si ricongiunge con lei dopo che questa ha chiesto il battesimo cristiano. La dimensione amorosa all’interno della Liberata esiste, e non soltanto con un esito infelice.