La teoria di Pavlov incontra Pier Paolo Pasolini
Secondo l’etologo russo Ivan Pavlov la nostra reazione ad un estraneo dipende dalla sua somiglianza con altre persone conosciute in precedenza. Quando ci troviamo di fronte a qualcuno di nuovo la nostra mente genera un rafforzamento positivo o negativo. Il nostro cervello utilizza uno speciale meccanismo di apprendimento, in cui le informazioni morali codificate dalle esperienze passate guidano le scelte future. Cosa succederebbe se ci fossero persone in grado di ingannarci e sovvertire la teoria di Pavlov? Saremmo portati a garantire loro la nostra fiducia unicamente per le impressioni e le emozioni che suscitano in noi. Una mossa a dir poco azzardata, da rimpiangere se, come accade non di rado, l’individuo cala la maschera rivelandosi un perfetto impostore. A spingerci verso la sua direzione sono stati il suo fascino ed il suo carisma. Questi elementi sono fondamentali nel contesto sociale, accrescono la nostra ammirazione e, nei casi più gravi, la nostra dipendenza da questa figura. Rendersi conto di ciò che accade è ora quasi impossibile, come ci insegna Pier Paolo Pasolini con la sua opera cinematografica Teorema. La pellicola del 1968, vede protagonista una ricca famiglia milanese il cui equilibrio viene scosso dall’arrivo di un affascinante e silenzioso ospite. Ogni membro della famiglia, inclusa la domestica che si occupa dell’abitacolo, instaura un tacito legame con lui. Il contatto sessuale ed intellettuale con il giovane rende gli abitanti della casa coscienti della realtà e getta un caos sulle esistenze che avevano condotto fino a quel momento. Alla partenza dell’ospite ognuno di loro cambierà radicalmente stile di vita, annullandosi come individuo nei casi più disperati.
Teorema è reale?
Quasi cinquant’anni più tardi, Pasolini fa di nuovo parlare di sé. Il 26 Maggio 2017 negli Stati Uniti d’America esce il documentario true crime, una delle produzioni più folli e frustranti, Rapita alla luce del sole. A distanza di anni dall’uscita del libro scritto dalla signora Broberg, Skye Borgman incontra i protagonisti della vicenda svelandone i segreti più oscuri. Siamo nell’Idaho degli anni Settanta. Jan Broberg è solo una bambina quando conosce Robert Berchtold, soprannominato B, un membro della chiesa mormone e suo nuovo vicino di casa. Il signor Bertchtold si mostra da subito disponibile nei loro confronti, tanto che presto le due famiglie scoprono di avere molto in comune, una famiglia con dei figli della stessa età, gli stessi problemi matrimoniali, le stesse frustrazioni. Inizia dunque una frequentazione che li porta a riunirsi per cene, feste o per scambiare due chiacchiere, arrivando anche a trascorrere le vacanze insieme. I bambini e tantomeno gli adulti, non vedono nulla di sospetto o di male nelle attenzioni che il signor B dedica alle figlie dei Broberg. In particolare si concentra su Jan, la più grande che all’epoca ha appena nove anni, una ragazzina esuberante che difficilmente passa inosservata. Ammaliati dalle attenzioni che Robert riserva loro e completamente ignari del pericolo Jan ed i coniugi Broberg ripongono tutta la loro fiducia ed il loro amore nell’uomo, un gesto che segnerà la loro condanna a vita. A differenza dei protagonisti di Teorema, la famiglia sceglie di essere cieca e di non affrontare la realtà. È solo grazie all’intervento di forze esterne che iniziano a dubitare dell’uomo.
Maschere, nient’altro che maschere
Queste vicende hanno dell’incredibile e ci lasciano ancora più scioccati se consideriamo che sono la causa di un sentimento morale che tendiamo ad elargire sempre più facilmente, dimenticandoci dei vari rischi in cui possiamo incorrere. La fantasia si sarebbe fatto scrupolo, certamente, di passar sopra a un tal dato di fatto; e ora gode, ripensando alla taccia di inverosimiglianza che anche allora le fu data, di far conoscere di quali reali inverosimiglianze sia capace la vita, anche nei romanzi che, senza saperlo, essa copia dall’arte. Così scrive Pirandello ne Il fu Mattia Pascal, una citazione che si adatta perfettamente ad ed entrambe le vicende. La vita, per tutte le sfacciate assurdità, piccole e grandi, di cui beatamente è piena, ha l’inestimabile privilegio di poter fare a meno di quella stupidissima verosimiglianza, a cui l’arte crede suo dovere obbedire. Le assurdità della vita non hanno bisogno di parer verosimili, perché sono vere. Ognuno di noi indossa una maschera, sta al nostro buon senso il compito di capire realmente chi si cela dietro questo inganno.
Denise Battista