In questi giorni stiamo assistendo ad una moltitudine di rivolte per la morte di George Floyd. Ma di cosa hanno davvero bisogno quelli che si ribellano? Simone Weil ci dice la sua.
George Floyd viene ucciso da un poliziotto che fa troppa pressione sul suo collo durante un arresto e in America si dà il via alle proteste. A New York, Washington DC, Brooklyn e ancora tante altre gli azzittiti vogliono urlare. Con Simone Weil scopriamo quali sarebbero le parole giuste per ottenere giustizia.
La violenza della giustizia
Il 25 Maggio 2020 George Floyd viene ucciso e l’episodio ottiene una risonanza mondiale, le immagini dell’arresto fanno il giro del mondo. Questo fa sì che i poliziotti coinvolti vengano incriminati e licenziati, ma anche che tutto il mondo parta in rivolta.
Prima a Minneapolis (luogo dell’accaduto) in modo pacifico, poi in tutti gli USA dove la situazione è sfociata nella violenza.
I protestanti circondano la Casa Bianca a Washington, in Florida si scagliano contro i poliziotti e a New York occupano le strade.
Ci troviamo in una condizione di malcontento e condanna dell’abuso di potere delle forze dell’ordine.
Ma scagliarsi contro la vita (con le violentissime rivolte) è davvero il modo giusto di far giustizia a George Floyd?
Urgenza di parole nuove
Simone Weil nasce a Parigi il 3 Febbraio 1909. Nel 1943, poco prima della sua morte, scrive un breve saggio intitolato ‘La persona e il sacro’. Tra queste righe traccia la condanna alla realtà in cui ci troviamo e alle istituzioni che ci influenzano sempre.
La regione mediana è dove sono collocate le parole che spesso utilizziamo, con cui i potenti millantano di dar spazio agli oppressi; quei termini utilizzati dalle collettività politiche o di altro tipo e che perciò sono condizionate da brama di potere, fini propagandistici e non esprimono la loro vera essenza.
Il vero modo per permettere a chi vive uno stato d’inferiorità di urlare al mondo il disagio, è quello di fornire parole nuove, nuove istituzioni che valichino la bruttezza di questo mondo.
Fin quando gli oppressi utilizzeranno lo stesso modus operandi degli oppressori, non riusciranno mai a farsi giustizia.
Violenza per la violenza
Agenti feriti, arresti, incursioni nei negozi, morti e rabbia, tanta rabbia: questo è il bollettino degli ultimi giorni.
Una rabbia che non fa bene al mondo e che ha sempre scatenato problematiche di caratura elevatissima.
Una rabbia che non dovrebbe essere né generata né alimentata perché, si badi bene, qui non si vuole criticare l’America in protesta ma soprattutto le motivazioni che hanno spinto fortemente queste rivolte.
Noi uomini e cittadini del mondo dovremmo provare ad uscire da questa regione mediana in cui ci hanno intrappolato, imparare a rispondere al male in maniera diversa da quella in cui il male stesso ci viene proposto.
Risulta difficile, troppo difficile per noi che da secoli siamo stati educati in questa gabbia.
In un’ottica di violenza per la violenza l’unica cosa che stiamo ottenendo sono immagini di delirio.