Doppio cognome per i nascituri: scopriamo la storia dei cognomi a partire dall’antica Roma

La corte costituzionale stabilisce l’illegittimità di attribuire in automatico il solo cognome del padre. Vediamo la sentenza sul doppio cognome.

Doppio cognome: situazione normativa e dubbi irrisolti - Diversity  Management

Tematica scottante e molto dibattuta è quella riguardante l’attribuzione del doppio cognome (sia paterno sia materno). Cerchiamo, insieme, di riassumere la storia dei cognomi in Italia, di analizzare il sistema onomastico nell’antica Roma, nella speranza di poter meglio capire il ruolo effettivo del cognome e le sue radici patriarcali.

A cosa serve il cognome?

Ognuno di noi è identificato da un nome e da un cognome, questi elementi linguistico- identificativi sono nati per la necessità di distinguere le persone tra loro e ridurre al minimo le possibili omonimie. In un primo momento, fino al 900, erano per lo più i nobili a farne uso; ma a cavallo tra il X e l’XI secolo divennero necessari per individuare univocamente ogni persona. Spesso i cognomi rimandano a una certa caratteristica fisica, a una zona geografica, a una mansione, al nome di un antenato. Nel 1564, con il Concilio di Trento, venne stabilito che il cognome fosse obbligatorio: quando i bambini venivano battezzati, il parroco inseriva nome e cognome in un registro.

A essere tramandato è da sempre stato il cognome del padre, in relazione al potere del pater familias (fattore storico-sociale) e a una motivazione ben più pratica; abbiamo detto che il cognome nasce per identificare in modo univoco una persona e per “legarla” alla famiglia di appartenenza.

Ora, in linea di massima, il rapporto madre biologica-figlio non viene messo in discussione (il legame è diretto e univoco), mentre il rapporto padre biologico- figlio è “indiretto”; dunque, il cognome serve (o serviva) anche per “legare” il nascituro al padre biologico, il quale -attribuendo il proprio cognome al bambino- lo riconosce e lo rende suo erede.

Il doppio cognome

La domanda sorge spontanea: perché un bambino non può avere anche il cognome della madre?

Già nel 2006, una sentenza della Corte Costituzionale definiva l’esclusiva attribuzione del cognome paterno «un retaggio di una concezione patriarcale della famiglia […] non più coerente con i principi dell’ordinamento e con il valore costituzionale dell’uguaglianza tra uomo e donna».

Una sentenza storia quella stabilita dalla Corte Costituzionale nel 2022: finalmente, è stata sottolineata la necessità di dover risolvere tale controversia in parte “sessista”. I giudici hanno ritenuto “discriminatoria” e “lesiva dell’identità del figlio” la regola che attribuisce automaticamente il cognome del padre e che, “nel solco del principio di eguaglianza e nell’interesse del figlio, entrambi i genitori devono poter condividere la scelta sul suo cognome, che costituisce elemento fondamentale dell’identità personale”.

Quindi?

Viene meno l’automatica attribuzione esclusiva del cognome paterno: “La regola diventa che il figlio assume il cognome di entrambi i genitori nell’ordine dai medesimi concordato, salvo che essi decidano, di comune accordo, di attribuire soltanto il cognome di uno dei due. In mancanza di accordo sull’ordine di attribuzione del cognome di entrambi i genitori, resta salvo l’intervento del giudice in conformità con quanto dispone l’ordinamento giuridico”.

Saranno, insomma, i genitori a decidere.

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I tria nomina nell’antica Roma

Nell’antica Roma ogni individuo era identificato dal sistema dei tria nomina

  • Prenomen= indica il nome proprio, il nome personale, usato a partire già dal IV secolo a.C.. I più diffusi sono Appius, Marcus, Lucius, Quintus, Servius.
  • Nomen= indica la gens di appartenenza. Ad esempio la gens Iulia, la gens Cornelia. è anche definito “gentilizio”
  • Cognomen=fa riferimento alla famiglia all’interno della gens. Inizialmente usato solo per le famiglie aristocratiche. Spesso era una sorta di soprannome, legato a una caratteristica fisica, a un luogo, a un evento, a una vittoria. Solo in un secondo momento divenne ereditario e servì per distinguere le varie famiglie che appartenevano a una stessa gens: per esempio Corneli Scipiones.  A volte, poteva essere aggiunto un secondo cognomen (cognomen ex virtute) che celebrava una determinata impresa: es. Publio Cornelio Scipione (prenomen – nomen – cognomen) detto l’Africano perché aveva riportato un’importantissima vittoria contro Cartagine, contro Annibale, nella battaglia di Zama del 202 a.C..

Gli schiavi generalmente avevano soltanto un nomen: se venivano liberati, assumevano il cognomen del loro ex padrone.

Se un individuo veniva adottato, conservava il suo prenomen e assumeva il nomen del padre adottivo e della nuova famiglia.

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Qualche dubbio…

Come abbiamo visto il cognome è legato alla storia di ognuno di noi ed è giusto che il nascituro sia “nominamente” legato sia al padre, sia alla madre, che finalmente si sia fatto un passo in avanti per la pari dignità dei ruoli.

Molti, comunque, sono i dubbi che restano insoluti: le generazioni future quanti cognomi avranno? Inevitabilmente, si avrà un effetto moltiplicativo dei cognomi e, allora, chi sceglierà quale cognome mantenere? I figli di uno stesso nucleo famigliare potranno avere cognome diversi? La sentenza avrà un minimo valore retroattivo? In caso di disaccordo tra i genitori, come agirà il giudice? Su che basi deciderà?

Insomma, numerosi sono le problematiche e i dubbi pratici legati all’attribuzione del doppio cognome, ma ci sono già cinque proposte di legge e soltanto l’applicazione concreta della legge farà emergere molteplici soluzioni e risposte alle incerte domande sopracitate.

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