Il disturbo post traumatico da stress è una delle possibili conseguenze di un’esperienza traumatica. Uno studio ha dimostrato che attraverso la tecnica della riformulazione verbale è possibile ridurre alcuni sintomi di tale disturbo, come i pensieri intrusivi ed i sintomi dissociativi.
Molte persone nel corso della loro vita vivono esperienze traumatiche che le segnano a vita, come la morte di una persona cara, essere coinvolti in gravi incidenti stradali o subire un abuso (sia fisico sia sessuale). Non tutti però reagiscono allo stesso modo dopo un’esperienza traumatica. Molte persone infatti non sviluppano alcun tipo di problema dal punto di vista psicologico e questo dipende da un numero piuttosto elevato di fattori, come la resilienza e lo stile di attaccamento. Purtroppo però non tutti sono così fortunari perché il 9% di queste persone manifesta dei sintomi riconducibili al disturbo post traumatico da stress (PTDS).
La teoria del condizionamento della paura
L’ipotesi più accreditata relativamente allo sviluppo del disturbo post traumatico da stress fa riferimento alla teoria del condizionamento della paura. Le persone che nel corso della loro vita sono state esposte ad esperienza traumatiche manifestano una maggiore reattività non solo agli stimoli connessi all’evento negativo da loro vissuto, ma anche a stimoli neutri. In altre parole queste persone tendono ad essere particolarmente sensibili sia a stimoli negativi sia a stimoli neutri perché tendono ad attribuirgli un significato negativo.
Si tratta di un meccanismo adattivo perché fa in modo che la persone in questione, facendo attribuzioni negative anche a stimoli neutri, provi paura nei moro confronti e quindi li eviti. Lo stimolo neutro (stimolo condizionato) diventa in grado di evocare risposte di paura (risposta condizionata) dopo essere stato ripetutamente associato ad uno stimolo avverso (stimolo incondizionato). In modo particolare non è tanto lo stimolo neutro a determinare la risposta condizionata, ma la valutazione che l’individuo fa dello stimolo incondizionato. Per questo si pensa che trasformando la rappresentazione dello stimolo avverso sia possibile modulare la forza della risposta condizionata.
Lo studio
Gli obiettivi principali dello studio erano due. Innanzitutto verificare se le differenze individuali nel meccanismo di condizionamento della paura potessero determinare o meno la comparsa del disturbo post traumatico da stress. Successivamente i ricercatori hanno verificato l’efficacia di due tecniche che solitamente si utilizzano per il trattamento di soggetti con PTSD, l’esposizione alla memoria del trauma e la riformulazione verbale del significato dell’esperienza traumatica. Si tratta di una delle primissime ricerche che ha cercato di modificare il ricordo di un’esperienza traumatica attraverso tecniche solitamente utilizzate con pazienti con PTSD.
Lo studio ha coinvolto 115 soggetti sani. Dopo una prima fase di screening, i ricercstori hanno sottoposto i partecipanti ad un meccanismo di condizionamento della paura. Ovviamente non si potevano far vivere esperienze traumatiche a queste persone, sarebbe stato altamente non etico ed immorale. Perciò per rendere lo studio fattibile, i soggetti hanno guardato sei spezzoni di film angoscianti e paurosi, preceduti da brevi narrazioni (stimolo incondizionato) ripetutamente associate a stimoli neutri (stimolo condizionato) come immagini di cerchi e quadrati. La risposta condizionata era misurata attraverso l’alterazione della conduttanza cutanea.
Dopo questa prima fase, i ricercatori assegnarono casualmente i soggetti a tre diversi gruppi. Il primo gruppo rivedeva i sei precedenti spezzoni di film e si utilizzava la tecnica dell’esposizione alla memoria traumatica. Nel secondo gruppo invece si utilizzava la tecnica della riformulazione verbale, per cui ai soggetti venivano riproposti gli stessi film, ma le narrazioni iniziali fornivano informazioni in più su quello che sarebbe successo e su quello che avrebbero visto. Infine al terzo gruppo vennero proposti sei spezzoni di film dai contenuti neutri perché era il gruppo di controllo.
I risultati
Alla fine dello studio i ricercatori chiesero ai partecipanti di tenere un diario per una settimana in cui annotare pensieri intrusivi e l’esperienza d’angoscia che li accompagnava. I risultati hanno evidenziato che i soggetti dei primi due gruppi hanno sviluppato una risposta condizionata di paura più forte, riportando quindi un maggior numero di pensieri intrusivi ed un livello molto elevato di stress. Questo primo risultato sostiene l’ipotesi iniziale secondo cui le differenze individuali rappresentano un fattore di rischio o di protezione rispetto ad un evento traumatico ed alle sue conseguenze.
Nel gruppo in cui veniva utilizzara la riformulazione verbale si osservava una maggiore alterazione della conduttanza cutanea. L’aumento dell’arousal permetteva ai partecipanti di spostare la loro attenzione sulle informazioni verbali fornite prima di vedere gli spezzoni dei film. Questo permetteva loro di modificare la precedente valutazione negativa dei film e quindi di conseguenza anche il ricordo del trauma. Essi riportavano un numero inferiore di pensieri intrusivi e di sintomi riconducibili al PTSD rispetto agli altri gruppi. Le ipotesi iniziali sono state confermate ed i risultati mettono in evidenza l’utilità e l’efficacia delle tecniche verbali con pazienti affetti da PTSD.
Il disturbo post traumatico da stress (PTSD)
La parola trauma deriva dal greco e significa ledere, danneggiare, contenendo anche un altro riferimento ad una ferita con lacerazione o agli effetti di un violento shock. In passato il termine era utilizzato esclusivamente in ambito medico-chirurgico, ma già dal XVIII secolo la psichiatria e la psicologia clinica hanno preso in prestito il termine. In questi ambiti si riferisce all’effetto soverchiante di uno stimolo sulle capacità dell’individuo di farvi fronte.
Nel DSM-5 il PTSD rientra nella categoria dei disturbi correlati ad eventi traumatici e stressanti, insieme al disturbo reattivo dell’attaccamento, il disturbo da impegno sociale disinibito, il disturbo da stress acuto, il disturbo dell’adattamento ed altri due disturbi rispettivamente con e senza altra specificazione. Per poter diagnosticare il PTSD è necessario che l’individuo sia stato esposto ad un trauma, di qualunque natura esso sia. Una seria minaccia di morte, una violenza fisica o sessuale e perfino assistere ad un evento traumatico può essere considerato un fattore scatenante. In seguito l’individuo svilupperà una serie di sintomi che dovranno essere presenti per almeno un mese, quali pensieri intrusivi relativi al trauma, evitamento di stimoli associati ad esso, marcate alterazioni dell’arousal, incubi e flashback.
Diversi tipi di trauma
Esistono diverse esperienze traumatiche a cui ciascuno può andare incontro nel corso della sua vita e non è detto che le persone che vivono la stessa esperienza traumatica reagiscano allo stesso modo. La reazione ad un’esperienza così tanto negativa dipende innanzitutto da fattori individuali, come la resilienza e lo stile di attaccamento, ma anche da fattori genetici ed ambientali. Ad ogni modo alcuni autori hanno proposto una classificazione delle varie esperienza traumatiche. I piccoli traumi (‘t‘) sono esperienza soggettivamente disturbanti caratterizzate dalla percezione di pericolo non particolarmente intensa. All’interno di questa categoria troviamo le umiliazioni subite o interazioni brusche con persone significative durante l’infanzia. L’altra categoria, denominata traumi T, comprende tutti gli eventi che possono portare alla morte o minacciare l’integrità fisica propria o delle persone care. Tra questi troviamo per esempio disastri naturali, abusi, incidenti etc.
PTSD e trauma complesso
Il discorso sul trauma è ancora oggi al centro di un dibattito nella comunità scientifica, soprattutto ciò che riguarda il cosiddetto trauma complesso. Questa diagnosi ad oggi non è riconosciuta dal DSM-5, ma la letteratura scientifica si sta occupando da ormai molto tempo di approfondirne le conseguenze. In particolar modo le ricerche si stanno concentrando sugli effetti a lungo termine di abusi, maltrattamenti e trascuratezza nell’infanzia perché sono esperienze deleterie per lo sviluppo della personalità e per la salute mentale di un individuo. Tutte queste esperienze sono ricondotte sotto il nome di Adverse Childhood Experience (ACE) e l’obiettivo è differenziare il trauma complesso dal PTSD, il quale si origina a seguito di un evento traumatico.
Il trauma complesso infatti riguarda una traumatizzazione cronica, ripetuta nel tempo, con conseguenze ben più pervasive e devastanti rispetto al PTSD. Se le esperienze traumatiche caratterizzano l’intera infanzia o comunque una buona parte della vita di un individuo, si parla di trauma cumulativo. La conseguenza in questo caso è un disturbo da trauma cumulativo che riguarda prevalentemente traumi interpersonali, come l’abuso fisico, sessuale o emotivo, il neglect, l’abbandono etc. Anche le guerre, le torture e la prigionia possono essere all’origine di una traumatizzazione cronica perché queste situazioni impediscono all’individuo di assumere una forma di protezione o di difesa.
American Sniper ed il trauma della guerra
Uno degli eventi che ha maggiormente consentito di studiare ed approfondire il PTSD è la guerra. La Grande Guerra, la Seconda Guerra Mondiale, la guerra del Vietnam o la guerra in Iraq (solo per citarne alcune) hanno segnato più che mai in modo indelebile le persone coinvolte. Soldati o civili che fossero, nessuno veniva risparmiato dal trauma della guerra. Negli ultimi anni molti registi hanno deciso di portare sul grande schermo quello che solitamente accade (o immaginino accada) durante una guerra. Nel 2014 American Sniper ha fatto il suo debutto nelle sale cinematografiche, riscuotendo un grande successo.
Il giovane Chris Kyle ha deciso di arruolarsi nei Navy SEAL, il famoso corpo d’élite della Marina degli Stati Uniti. Durante l’addestramento Chris si distingue per le sue abilità di cecchino, senza però trascurare la sua vita sociale. Infatti in un bar conoscerà Tanya, una donna che poco tempo dopo diventerà sua moglie. Il suo primo intervento sul campo si verifica nel 2004 a Falluja durante la guerra in Iraq, dove ucciderà una madre con il suo bambino che stavano attaccando alcuni suoi compagni. Nonostante fosse visibilmente scosso dall’accaduto, questo sentimento ben presto lascia il posto alla fama che guadagnerà grazie alle sue straordinarie capacità. Durante un’operazione però gli Iracheni catturano Chris e lo terranno prigioniero fino a quando non riuscirà a scappare.
Il ritorno a casa: l’inizio della fine
Quando Chris ritorna a casa assiste ad uno degli avvenimenti più belli della vita, la nascita del proprio figlio Colton. Nonostante questi momenti di gioia, Chris non riesce a non pensare all’iraq e a quello che è successo laggiù. Questi pensieri ricorrenti ed intrusivi preoccupano la moglie, la quale cerca di distrarre Chris facendolo pensare alla sua nuova famiglia. La Marina però richiamerà nuovamente il cecchino per un altro turno in Iraq, dove si troverà coinvolto in una sparatoria con un cecchino altrettanto bravo. Chris però avrà la meglio.
Il secondo ritorno a casa dovrebbe essere unritorno felice perché nascerà la secondogenita di Chris. Nonostante la gioia e la felicità che questi momenti dovrebbero portare, il giovane cecchino si allontanerà sempre di più dalla sua famiglia. La Marina richiama di nuovo Chris in Iraq per una terza ed anche una quarta volta, contro il parere della moglie, sempre più preoccupata per l’uomo che aveva sposato che ormai sembrava non avere neanche più l’ombra di quell’uomo. Infatti all’aumentare dei suoi successi in guerra, aumenta la distanza tra lui e la sua famiglia. Inizia a provare anche un forte senso di colpa per i compagni che non è riuscito a salvare e questo inevitabilmente influenza negativamente il suo reinserimento nella società.
L’unico aiuto che riuscirà a trovare sarà quello di alcuni reduci. Avendo fatto lo stesso tipo di esperienze possono capire Chris, quello che prova e come si sente e grazie al loro prezioso aiuto il giovane cecchino troverà la strada giusta per riappropriarsi della sua vita.
Martina Morello