Baudrillard è considerato il pensatore della sparizione della realtà: simulazione, iperrealtà, realtà virtuale. Nelle scene iniziali dentro la Matrice, Thomas A. Anderson, aka Neo nell’empireo hacker, nasconde soldi e back-up proprio nella sua copia di “Simulacri e Simulazione“.

A quasi 40 anni di distanza dalla pubblicazione dall’opera e a poco meno di 20 anni dal debutto nella sale del primo, a oggi inarrivabile, episodio della trilogia Wachowsky, la parabola intuita dal pensatore francese (che bocciò sonoramente ogni ipotesi di collaborazione con la produzione del film, non apprezzando per nulla il progetto) è compiuta: siamo passati dal corpo alla sua rappresentazione. Baudrillard ha investito parte della sua attività accademica alla descrizione minuziosa e spaventata insieme della invasiva presenza ed evidenza della simulazione, in ogni campo dell’umano. La sua teoria dell’iperrealtà nasce dal confronto con la tendenza della fotografia di figura, iperrealistica, appunto: dove inizia lo sguardo e finisce l’opera d’arte? In questo gioco di specchi e continui rimandi, nella vertigine della somiglianza e dell’assoluto realismo, si vorrebbero rovesciati i rapporti di forza canonici tra osservante e osservato, simulazione pittorica e realtà vissuta.
Mai provata la sensazione di non sapere se sei sveglio o se stai ancora sognando?
C’è da dire, peraltro, che il pensiero dei filosofo esonda rispetto alla questione centrale del film: la verità tra simulazione e prigionia, l’incubo della matrice platonica delle ombre del vero, la personificazione del dio malvagio cartesiano, il problema etico della cosa in sè, il velo del mondo fenomenuco. Il reale non sta scomparendo dietro la simulazione, non rischia nulla di tutto questo. O meglio, lo sarebbe se rimanessimo nelle categorie di interpretazione strutturaliste, e il rischio appare concreto, dividendo il mondo e la sua rappresentazione nel rapporto segno\valore, in legame proporzionale. Non è possibile ridurre completamente il fenomeno, non si può eliminare il per sè dei singoli, togliere anche l’in sè delle cose e provare a decodificare completamente il mondo simulato senza rovesciare il segno, senza scoprire la matrice, prima e a prescindere dalle parole dell’Architetto. Allora, l’unica via è padroneggiare la sparizione nella migliore maniera possibile, trovarsi a proprio agio nelle apparenze senza perdersi, rendere pienamente reversibile la simulazione.

Che vuol dire “reale”? Dammi una definizione di “reale”
In questo modo avviene una scissione che risale la corrente del pensiero del Novecento e arriva nelle viscere dell’ontologia occidentale, per spezzare quella frase innocua del proemio del De Natura di Parmenide, in cui “è lo stesso il pensare e il pensare che è”. E il non essere non è pensabile, e quindi inesprimibile. Come dirà qualche secolo dopo Heidegger: il linguaggio è la casa dell’essere. Baudrillard sfratta l’essere dalla sua millenaria dimora. Il linguaggio è indiscutibile: c’è prassi comunicativa, quindi fittizia. Nascono nel parlare i simboli e i simulacri. Sulla superficie del linguaggio, scorrono veloci i simulacri, non per errore o per imprevisto, ma perché così è il pensiero dell’uomo. Invece, non aspettiamoci essenze o essere. Prassi di simulazione è il nostro linguaggio. Non c’è spazio per l’ontologia, invece, perchè l’essere è un reflusso risposo alla circolazione dei segni nella selva simbolica. Essere e non essere, esistenza o non esistenza delle cose non sono più un problema, né vengono sfiorata. Se ontologia è accumulare figurine di cose che sono e cose che non sono, non è pensabile oggi come prassi di ricerca, tantomeno se pensata in una dimensione sociale.

Cosa cerchi di dirmi? Che posso schivare le pallottole?
La vera sfida è diventare tutti Neo, eletti, sfidando la matrice e le cose nella circolazione prima simbolica e poi reale. Costringendo le cose ad apparire e poi sparire, prendere evidenza antica e poi abbandonarlo prima di diventare reali. La scrittura dell’autore lascia affermare tutto ma non libera noi lettori dalle sabbie mobili dell’interpretazione e della situazione, rimanendo chiusi da credenze, pregiudizi, superstizione e incredulità. La sfida è accettare in chiare metafisica (parliamo di trascendenza e alterità) della sovranità simbolica del mondo dei simulacri del mondo stesso. Basta con la fredda catalogazione del reale in chiave ontologica, rifiutiamo il Sinn del Sein (la ricerca del senso dell’essere alla base di Essere e Tempo) e ogni pretesa epistemica sul nostro reale, che in questo modo si impoverisce. La metafisica è prassi, l’ontologia è paralisi bibliotecaria, nella vertigine della catalogazione.