I demoni nascosti dentro di noi chiedono di essere ascoltati, come ci insegna la filosofia antica.
Nella canzone “Demons” degli Imagine Dragons, emerge un concetto che ha origini molto antiche e che è stato trattato ampiamente dalla filosofia greca e romana e ripreso da quella contemporanea.
DEMONS
La canzone “Demons” è il quarto singolo estratto dall’album Night Visions, pubblicato nel 2013, anche se era già stato rilasciato per la prima volta nell’EP Continued Silence del 2012. I demoni a cui la canzone si richiama stanno a simboleggiare il lato della personalità più oscuro e tormentato dell’autore. L’ospite inquietante di cui parla si rivela e immerge le sue giornate nel freddo e nell’oscurità, spogliandolo di ogni punto di riferimento. Le carte che avrebbe potuto giocare sono tutte coperte e il suo sangue, che prima gli dava vita e forza, sembra essersi fermato:
“When the days are cold
And the cards all fold And the saints we see are all made of gold When your dreams all fail And the ones we hail Are the worst of all, and the blood’s run stale“.
La sua interiorità è scossa dal costante movimento di demoni che il cantante cerca di nascondere sotto alla superficie, ma senza successo. Questi esseri inquietanti assumono le sembianze di bestie che dimorano dentro di lui e che non gli lasciano scampo. In particolare, l’autore si rende conto di quanto questa presenza lo devasti ed il suo pensiero si volge alla persona che sta al suo fianco, alla persona che ama, temendo che quest’ultima possa essere danneggiata dai suoi demoni:
“I wanna hide the truth
I wanna shelter you But with the beast inside There’s nowhere we can hide[…]
When you feel my heat, look into my eyes
It’s where my demons hide Don’t get too close, it’s dark inside”
Questi demoni appaiono dunque come delle forze sulle quali l’autore sembra non potere avere la meglio, poiché lo coinvolgono e lo dominano a un punto tale da rendergli impossibile anche solo il pensiero di ribellarvisi e, quindi, impraticabile anche la volontà di proteggere chi gli sta al suo fianco. Per questa ragione, si rivolge alla persona amata, quasi arrivando alla risoluzione di lasciarla andare, per non avvelenarla e per salvare la luce che i suoi occhi trasmettono. Ma ecco che proprio quella luce, in contrasto con l’oscurità che i demoni sprigionano, lo fa ritornare sui suoi passi e lo riscatta, scorgendo così la possibilità di scappare dalla condizione in cui si trova.
IL CONCETTO DI DAIMON
Il daimon è un concetto che risale alla filosofia greca. δαίμων significa distributore di destini. Il mito di Er di Platone lo definisce come una sorta di creatura insita nell’interiorità di ognuno, che ha il compito di guidarci nella piena realizzazione di noi stessi. Nel mito, descritto nel X libro della Repubblica, compare Er che, morto in battaglia, ritorna in vita dopo dodici giorni, raccontando agli uomini il destino che li attende dopo la morte: le anime, una volta lasciato il corpo, sceglieranno il proprio demone, senza l’influenza di alcun dio. La responsabilità è quindi degli stessi uomini, che selezioneranno liberamente tra vari e diversi modelli di vita proposti nell’aldilà. Questo mito si inquadra nella teoria platonica della metempsicosi, secondo cui quando veniamo alla luce, siamo già stati nel mondo delle idee, nell’iperuranio: lì abbiamo contemplato le Idee e abbiamo effettuato una scelta, la scelta del modello di vita che ci avrebbe caratterizzato nel momento in cui l’anima si sarebbe incarnata nel corpo. In questo senso, il nostro modello di vita è stato da noi stessi scelto prima di venire al mondo e di conseguenza il nostro destino è già inscritto nelle corde che dobbiamo solo trovare il coraggio di suonare. Scrive Platone:
“Non sarà il demone a scegliere voi, ma voi il demone […]. La virtù non ha padroni; quanto più ciascuno di voi la onora, tanto più ne avrà; quanto meno la onora, tanto meno ne avrà. La responsabilità, pertanto, è di chi sceglie. Il dio non ne ha colpa”.
La responsabilità è unicamente individuale ed essa sta nello scovare il proprio demone e nell’avere anche il coraggio di guardarlo in faccia. Come accade nella canzone degli Imagine Dragons, infatti, questa creatura appare come minacciosa e ostile. Ma se rappresenta la nostra vocazione, il nostro Io più profondo, come può essere che assuma toni tanto oscuri? La ragione sta nel fatto che il daimon, se non viene lasciato libero di esprimersi e di salire in superficie, inizia a tormentare il proprio “padrone”: lo va a stanare, lo disturba, anche a costo di causargli danni e sofferenze. Il daimon è una creatura che non può essere ignorata e se viene soppressa farà di tutto per far sentire la sua voce. Non è facile ascoltare il proprio daimon: per comodità o paura, esso viene spesso soppresso. “Evocarlo” richiede coraggio e forza, perché mette di fronte alla propria autenticità radicale e non permette di accampare scuse o di nascondersi dietro a comodi alibi.
Come si è detto, dunque, il daimon rappresenta una componente ineludibile della nostra personalità, che a volte può essere persa di vista e accantonata, ma che prima o poi tornerà comunque a richiamarci, col fine di fare emergere la parte più autentica della nostra natura. James Hillman, uno dei più influenti allievi di Carl Gustav Jung, si è soffermato ampiamente sul concetto di daimon, definendolo un “compagno segreto”, che va cercato al di là delle convenzioni sociali e dell’ambiente in cui siamo inseriti. Riprendendo il già citato Mito di Er di Platone, nella sua opera “Il codice dell’anima”, Hillman scrive:
“Prima della nascita, l’anima di ciascuno di noi
sceglie un’immagine o disegno che poi vivremo sulla terra, e riceve
un compagno che ci guidi quassù, un daimon, che è
unico e tipico nostro. Tuttavia, nel venire al mondo, dimentichiamo
tutto questo e crediamo di essere venuti vuoti. È il daimon
che ricorda il contenuto della nostra immagine, gli elementi del
disegno prescelto, è lui dunque il portatore del nostro
destino“.
Allineare la propria vita sul daimon, sul nostro io più profondo che ci rende unici e irripetibili, dando toni e colori specifici ai nostri vissuti, significa realizzare la propria natura più radicale, quella che ci contraddistingue da tutti gli altri. Secondo Hillman, siamo dunque chiamati a decifrare il codice della nostra anima, col fine di cogliere chiaramente il senso della nostra presenza nel mondo, stimolandoci alla grandezza e alla potenza.
VIVERE SECONDO LA PROPRIA NATURA – OVVERO ADDOMESTICARE IL DAIMON
Scovare ciò che è da sempre inscritto nella nostra anima e coltivare la parte migliore di noi stessi, con coerenza e coraggio, dipende, quindi, solo da noi e si tratta di un lavoro quotidiano che non giunge mai a una completa risoluzione, poiché si tratta di una pratica – detta askesis – che implica degli esercizi spirituali da praticare su se stessi, ogni giorno, non tanto per giungere a una gnoseologia del sé o a una conoscenza teoretica della propria psiche, quanto per forgiarsi come essere umano in grado di scegliere il proprio destino, già presente in sé sotto forma di daimon.
A questo proposito, nella sua opera “Esercizi spirituali e filosofia antica”, il filosofo contemporaneo Pierre Hadot ha ripercorso il pensiero delle scuole di filosofia antica, dagli stoici agli epicurei, per rilevare come in queste correnti filosofiche fosse presente la volontà di conoscere se stessi al fine di realizzare la propria natura più autentica, per tramutare lo schiavo del destino in un soldato del fato, consapevole del proprio sé e dell’ordine naturale delle cose. Il concetto di omologomenus rispecchia questa postura, in quanto si riferisce al vivere in concomitanza all’ordine naturale delle cose, secondo il proprio daimon e secondo la natura universale. Giungere a questa condizione ci fa gioire della conquista della nostra potenza, che cresce e si afferma, sottraendoci dalla schiavitù che le forze esterne spesso esercitano su di noi. Se mi ripiego su me stesso e divento monarca di me stesso, vivendo virtuosamente in consonanza con il daimon, raggiungo dunque uno stato di felicità. Comprendere il daimon è avvertire una adaequatio che può essere definita con il termine oikeiosis, ossia con il senso di sentirsi a proprio agio nel proprio ambiente, in perfetto accordo ed armonia con la propria essenza. Anche il filosofo Michel Foucault ha affrontato la tematica del daimon e si è in particolare soffermato sull’askesis, cioè sul lavoro etopoietico, pieno di prove ed inciampi, che però consente di giungere alla piena libertà e felicità, approdando a una vera e propria trasformazione del sé che realizzi il proprio daimon. Compiere questo lavoro, per Foucault, è prepararsi a perdere i propri abiti e a fare vuoto in se stessi; essere pronti a perdersi per scoprirsi altrove, non tanto per scovare i propri segreti profondi, men che meno per rendersi oggetti di pura conoscenza; si tratta, invece, di costruire un sé forte, di convertirsi al proprio demone come a qualcosa che abita in noi. In questo modo, si pone se stessi come fine della propria esistenza e questa modalità di conoscenza di sé e di liberazione della potenza del proprio daimon, rappresenta la più radicale forma della cura del sé, di auto-soggettivazione, del raggiungimento del più pieno ed adeguato rapporto del sé con se stesso.
Sono in particolare i tempi di crisi a fornire l’occasione migliore per fare emergere il daimon che abita dentro di noi, per guardarlo veramente in faccia e per seguirlo. Proprio come cantano gli Imagine Dragons nella loro canzone, dunque, l’oscurità in cui si è immersi costringe lo sguardo a ripiegarsi su se stesso e a immergersi nel buio ancora più fitto, per scorgere la nostra vera natura e per liberare la potenza che proviene dal daimon. Noi siamo ciò che abbiamo scelto di essere, sostiene Platone e, scrive Jung,
“In ultima analisi, noi contiamo qualcosa solo in virtù dell’essenza che incarniamo e, se non la realizziamo, la vita è sprecata”.