È venuto a mancare dal primo gennaio David Stern, il visionario commissioner della lega di basket più famosa al mondo, la NBA. Ecco com’è diventato il pioniere del basket americano moderno.
David Stern è da molti considerato il miglior dirigente sportivo NBA di sempre: grazie alle sue riforme comunicative ha dato lustro e bellezza al logo NBA, oggi famoso in tutto il globo.
L’NBA in difficoltà
“David Stern è stato il mio mentore, ed il mio più grande amico. Assieme abbiamo speso infinite ore negli uffici, nelle arene, e ovunque il gioco ci avrebbe condotto. Oggi, ogni membro della NBA beneficia della capacità di visione, della generosità e dell’ispirazione di David Stern”. Con queste parole, l’attuale dirigente NBA Adam Silver ha salutato per l’ultima volta il suo amico, prima che collega, Stern. Ma perché questo commissioner è da molti considerato il migliore? Stern prese le redini dell’NBA nel 1984 e ai quei tempi la lega non navigava affatto in buone acque: una crisi economica, lo scarso interesse dei tifosi e una copertura televisiva praticamente nulla incidevano sull’interesse del pubblico. A tutto questo bisogna aggiungerci il fatto che il consumo di droga da parte di diversi giocatori del tempo aveva allontanato i vari sponsor pronti ad investire del denaro su di loro e quindi, automaticamente scommettere sulle potenzialità dell’NBA stessa.
La riforma: il salary cap, invenzione sterniana
David Stern potrebbe essere considerato benissimo un sociologo: un analista della società, che la capisce, la comprende, applica minime ma determinanti riforme, senza per questo stravolgere il gioco. È proprio per questo motivo che sarà ricordato come una grande icona, anche perché rese grande una lega che da zero fece diventare una delle più ambite al mondo. Soprattutto per quanto riguarda l’ambito socio-economico di investimenti di capitale multinazionale. Introdusse una regola, quella del salary cap, che ha permesso una maggiore equità e competitività tra le franchigie NBA. La manovra socio-comunicativa del salary cap, tutt’oggi in vigore in NBA, prevede un tetto, una soglia massima di denaro che una società può spendere complessivamente, per ogni stagione, per gli ingaggi della propria rosa, portando così le franchigie a dover ridistribuire equamente il capitale posseduto per far tendere all’equilibrio tutte le società che prendono parte alla stagione NBA. Fu una riforma che, di conseguenza, attirò un numero molto elevato di giocatori oltreoceano, europei soprattutto, i quali, affascinati dalla nuova architettura sterniana, decisero di mettersi alla prova e approdare in NBA. Sono proprio questi gli anni in cui l’NBA accoglie cestisti provenienti dalla Jugoslavia/Croazia (come, ad esempio, il compianto Drazen Petrovic), dalla Russia e, perfino, dalla Cina, caso emblematico quello del “gigante buono” Yao Ming.
L’eredità di David Stern
Dopo tre decenni, Stern, nel 2014, ha deciso di passare il testimone al suo successore, Adam Silver, il quale ha raccolto tutti i semi gettati da Stern e li ha fatti crescere con pazienza: l’NBA oggi è uno spettacolo globale, un business di milioni e milioni di dollari di investimenti. David Stern ha preso una baracca allo sbando (l’NBA del 1984) e l’ha fatta diventare un grattacielo solidissimo su cui costruire le fondamenta. Ultima questione, ma non per importanza: oggi è anche grazie a Stern che le giocatrici hanno una propria lega, la WNBA. L’imprenditore newyorkese, infatti, supervisionò e poi approvò il progetto di creare una lega professionistica americana di basket per donne che ad oggi conta ben 12 squadre iscritte e punta a espandersi sempre più. Stern è stato un pioniere, non a caso oggi la NBA ha 11 uffici al di fuori degli USA e ha una copertura televisiva in 215 nazioni in 43 lingue diverse. Giusto ieri una partita NBA si è giocata oltreoceano, in Europa, a Parigi, consolidando, di fatto, l’impronta globale e cosmopolita, due capisaldi della comunicazione del visionario David Stern.