“Non me ne frega niente di quello che pensa il mondo.
Sono nata puttana. Sono nata pittrice. Sono nata fottuta. Ma sono stata felice sulla mia strada.
Tu non capisci quello che sono.
Io sono amore. Io sono piacere, sono essenza.
Sono un’idiota. Sono un’alcolizzata, sono tenace.
Sono io, semplicemente
sono…
(E tu sei una merda!)”
[Frida Kalho, frammento di una lettera a Diego Rivera]
Nella mente di chiunque la parola “Frida” (abbreviazione del suo lungo nome completo, Magdalena Carmen Frida Kahlo y Calderón) richiama l’iconografico monociglio, il baffo sul labbro superiore, le acconciature floreali, una serie infinita di autoritratti pieni di sofferenza.
Icona dell’arte ma anche del femminismo, oggi rivive nel progetto editoriale italiano Freeda, freedom al femminile, punto di riferimento per le donne tra i 18 e i 34 anni.
Una realtà social che vive su Instagram e Facebook attraverso instant articles, brevi video di storie di grandi donne che ce l’hanno fatta: da Sailor Moon alla Regina dei Draghi Daenerys di Game of Thrones, dalle citazioni di Virginia Wolf agli articoli su Amy Winehouse, fino ad arrivare ai trend lanciati da Rihanna. Non mancano tatuaggi e cucina, per coprire tutto il mercato dei gusti.
Freeda non dice alle donne come devono essere, come devono vestirsi, come devono comportarsi, ma le aiuta a tirare fuori il meglio di sé.
In un suo articolo da voce alle parole che Meryl Streep pronuncia alla cerimonia dei Golden Globes 2017: “Prendete i vostri cuori spezzati e trasformateli in arte.”
Un riassunto di quella che poi è stata tutta la vita di Frida. Un invito a comunicare attraverso l’arte: che sia musica, poesia, pittura, danza o scrittura.
Un riferimento a “Gli anni dei ricordi” , film drammatico del 1995 in cui una delle protagoniste aveva una strana abitudine: ogni volta che si sentiva delusa o tradita, oppure quando la tristezza prendeva il sopravvento dentro di lei, rompeva un bicchiere, una tazza o un piatto. Poi raccoglieva con cura ognuno di quei pezzetti di vetro o ceramica e li incollava ad una parete.
Con il passare degli anni si rende conto d’aver creato una vera e propria opera d’arte. Quel caos variegato e colorato sulla parete, nascondeva i frammenti del suo cuore spezzato, trasformato in arte.
Diego e io
“Due incidenti ho avuto nella vita, uno sei tu
Nonostante questo io ti amo”
[Diego e io, Brunori Sas]
La traccia numero 7 (che evoca la data di nascita dell’artista, nata nel 1907) presente nell’album “A casa tutto bene”, del cantautore calabrese Brunori Sas (pseudonimo di Dario Brunori), celebra la figura di Frida con “una ballata romantica, piano e archi, come un intervallo fiabesco fra il primo e il secondo tempo del disco.”
Tuttavia ad essere cantata non è solo la passione per Diego, descritta come una sfortunata disgrazia.
Ma la passione per la pittura, valvola di sfogo dalla sua salute martoriata. Iniziata con la poliomielite e continuata con l’incidente nel tram per cui sostiene 32 operazioni.
La passione per la politica che la porta ad iscriversi al Partito Comunista Messicano. La passione per la civiltà precolombiana che la porta a fare dello stile tehuana una moda fatta di gonne lunghissime, orecchini con pendagli e tanti anelli, anche più di uno per ogni dito.
La passione per la vita il cui ideale era: “fare l’amore, farsi un bagno e fare di nuovo l’amore”.
La passione per la tequila con cui risolve i numerosi tradimenti di Diego, per le quesadillas e il mole.
Siamo il mostro e la bambina
Il trionfo e la rovina, noi
Frida era una donna piuttosto sfacciata, una sorta di Arya Stark senza peli sulla lingua, poco abituata ai problemi di “etichetta”.
Si approcciò al più famoso pittore muralista, il suo panzòn, interrompendolo mentre lui dipingeva su un’impalcatura.
Si dice che lei gli abbia gridato semplicemente: “Diego, vieni giù!” e che lui abbia obbedito. Gli piacquero sia i dipinti della ragazzina tutta ossa che i suoi perforanti occhi neri, nascosti dal suo fitto arco sopraccigliare.
Diego era rimasto imbambolato a guardarla. Dopo qualche giorno era a casa sua. Dopo una settimana erano fidanzati. Dopo una decina di mesi erano sposati.
“Santa Vergine della Soledad, proteggici!” aveva esclamato Matilde Kahlo, la madre che non vedeva di buon occhio il matrimonio della figlia con un uomo molto più grande, comunista, ateo, enorme.
Dalla fisicità simile a quella di un Buddha e vicina a quella di Shrek.
Nonostante le tue amanti, le mie amanti che
Lo sappiamo bene erano un gioco
Ma se bevi il sangue del mio sangue, allora no
Questo gioco non te lo perdono
Nonostante il legame tra i due artisti vada al di là della mera attrazione fisica, poichè prima di essere amanti sono colleghi, amici e condividono la stessa passione per l’arte, Diego rimane pur sempre un uomo.
E per questo poco propenso alla monogamia: “Diego principio. Diego costruttore. Diego mio bambino. Diego mio fidanzato. Diego pittore. Diego mio amante. Diego mio marito. Diego mio amico. Diego mia madre. Diego mio padre. Diego mio figlio. Diego = io. Diego – Universo. Perché lo chiamo il mio Diego? Non è mai stato e non sarà mai mio. Diego appartiene a se stesso.”
Tanto da tradirla con sua sorella, Cristina Kahlo: bionda, elegante, bellissima, e priva di qualsiasi interesse per l’arte, al contrario della sorella. Ma bisognosa di soldi, e così modella per Diego.
Dopo avergli urlato un delicato “Hijo de puta!”, per dispetto si taglia i lunghissimi capelli, che Diego amava, e dipinge “Unos cuantos piquetitos” (Qualche piccolo colpo di pugnale).
Nel quadro, ispirato ad un fatto di cronaca, si vede una donna orribilmente sfigurata dalle coltellate, con il suo assassino accanto che si diverte: “È stata solo qualche punzecchiata!”. Frida si sentiva così, assassinata dal marito che si difendeva dicendole: “È stata solo una scopata!”, e non contento lasciava dovunque impronte di sangue. Perfino la cornice è macchiata ad hoc.
Clelia Sinisi