Cosa vuol dire fare l’occhiolino? Tutti gli occhiolini hanno lo stesso significato? Proviamo a rispondere con l’aiuto dell’antropologia interpretativa.
Uno stesso atteggiamento può assumere molteplici significati, a seconda del contesto, delle intenzioni e delle motivazioni di colui che lo fa. L’antropologia interpretativa, elaborata da Clifford Geertz, definendo la cultura come un sistema complesso che si esprime attraverso simboli si pone come ambizioso obiettivo quello di carpire il significato ultimo di questi simboli.
Le basi dell’antropologia interpretativa
Negli ultimi decenni del secolo scorso, tra i molteplici modelli di analisi antropologica si afferma un nuovo tipo di approccio, più riflessivo e contestuale: l’antropologia interpretativa.
Il testo cardine del modello innovativo è “Interpretazione di culture” (1973) di Clifford Geertz, antropologo statunitense che ha rivoluzionato il modo di fare ricerca e di comprenderne i risultati finali. Questa tipologia di antropologia parte dall’analisi dei simboli e dei loro significati. La cultura viene vista come un sistema di segni che vanno interpretati, segni a cui occorre dare un significato; ma, essendo la realtà composita e complessa, non riducibile a un modello matematico ideale, l’antropologo può soltanto tentare di dare una spiegazione per quei segni, attraverso una ricerca graduale, i cui prodotti finali sono sempre provvisori e parzialmente completi. Geertz ci dice che la comprensione è sempre possibile, ma al contempo incompleta e imperfetta, è come se l’indagine dell’antropologo non avesse mai fine.
La descrizione densa
L’approccio interpretativo si oppone allo strutturalismo di Lévi-Strauss, il cui modello “pretende” di spiegare la realtà empirica tramite schemi fissi, cosa che Geertz, invece, rifiuta ritenendo che la realtà non sia riducibile a un modello cognitivo razionale.
La realtà e, dunque, la cultura non possono essere considerate in maniera oggettiva per mezzo della sola osservazione o descrizione, occorre un’interpretazione “filosofica” riflessiva (e meno pragmatica).
Per tentare di giungere a un’interpretazione complessiva (ma -ricordiamolo- sempre imperfetta), si parte dalla descrizione: cose, fenomeni ed eventi vengono descritti non in maniera superficiale limitandosi all’aspetto esteriore, al contrario si cerca di intuire la profondità dei loro significati (thick description, ossia descrizione densa), così da cogliere il senso di quell’azione, di quel fenomeno.
Il significato dell’occhiolino
Per spiegare bene cos’è e come funziona la descrizione densa, Geertz propone l’esempio dell’occhiolino.
Se dovessimo descrivere oggettivamente (e dall’esterno) cos’è un occhiolino, probabilmente lo definiremmo come una contrazione breve di una palpebra oppure una leggera chiusura di un solo occhio, lasciando aperto l’altro. Ma -in questo modo- ci siamo limitati a una descrizione superficiale e neutra che non spiega il significato (o meglio i significati) dell’occhiolino: potrebbe essere un tic nervoso, un segno di intesa tra amici, un ammiccamento…
Il significato dell’occhiolino dipende dal contesto e per capirne il senso dobbiamo cercare di immedesimarci in colui che ha fatto l’occhiolino (attore sociale). Le motivazioni del perché il soggetto abbia fatto l’occhiolino possono essere diverse: potrebbe aver voluto lanciare un segnale alla ragazza che ha visto sul treno con un’intenzione maliziosa, se invece lo ha fatto durante una partita a carte potrebbe aver voluto lanciare un segno di intesa al compagno di gioco oppure se ad esempio strizzava l’occhio durante l’intervista probabilmente era dovuto a un tic nervoso…
Ancora, si può fare un occhiolino per incoraggiare qualcuno, per un invito romantico, uno scherzo, un saluto, riconoscimento, seduzione … L’occhiolino assume diversi significati e in determinate culture (come in alcune regioni dell’Asia) è considerato un gesto offensivo.
Inoltre, per capire come il contesto e l’intenzione comunicativa possano fare davvero la differenza, basta pensare anche all’uso dell’emoji dell’occhiolino (che rientra tra le “faccine” più utilizzate in assoluto in tutto il mondo): il significato che assume o meglio che il mittente vuole dargli (e che, teoricamente, dovrebbe coincidere con quello attribuitogli dal destinatario) varia in base al contesto informativo, come il testo del messaggio che può accompagnare l’emoji.
La vera conoscenza
Descrivere l’occhiolino come una semplice espressione facciale in cui un occhio si chiude per breve tempo non ci restituisce la vera conoscenza di cos’è un occhiolino: lo stesso movimento della palpebra, lo stesso strizzare l’occhio può assumere significati diversi a seconda delle intenzioni dell’attore sociale, anche se apparentemente si tratta della stessa cosa, della stessa espressione.
Ovviamente, il caso dell’occhiolino è soltanto un esempio (proposto dallo stesso Geertz) semplice ma al contempo efficace per spiegare l’importanza dell’interpretazione nella ricerca antropologica e della descrizione densa che non può prescindere dal contesto comunicativo, dalle relazioni, dalle intenzioni dell’attore sociale e dal significato che quell’azione, evento, fenomeno assume per chi guarda.