Nessun uomo, pur avendone il potere, deciderebbe la data della fine della sua esistenza. Il tema della morte non ha mai riscosso rassegnazione, ma bisogna temerla davvero?
La morte è la fine di tutto o il passaggio ad una vita migliore? Uno dei grandi interrogativi della vita, per molti irrisolto, può trovare una risposta grazie al saggio Salomone, autore del libro biblico di Ecclesiaste, e a pensatori che fusero la filosofia greca con la tradizione romana arcaica, come Cicerone, Lucrezio e Seneca.
La Bibbia
Salomone si annoveró il titolo dell’uomo più saggio che fosse mai esistito sulla faccia della terra. La sua saggezza, che non era del tutto farina del suo sacco, inspiró la stesura del libro biblico che contiene massime e principi di un certo spessore.
Infatti i vivi sanno che moriranno, ma i morti non sanno nulla, né hanno più alcuna ricompensa, perché di loro non rimane alcun ricordo. Il loro amore, il loro odio e la loro gelosia sono ormai scomparsi. Non hanno più alcuna parte in quello che si fa sotto il sole.
Ecclesiaste 9:5,6
La morte è il contrario della vita. La presa di coscienza e consapevolezza appartengono solo ai vivi, la morte è solo l’immagine speculare di qualsivoglia attività. Qual è il viaggio dell’anima allora?
Il suo spirito se ne esce, e lui torna al suolo; in quello stesso giorno i suoi pensieri svaniscono.
Salmo 146:4
Il salmista riparafrasa la premessa fatta da Dio ad Adamo ed Eva nel giardino dell’Eden:”Polvere sei e polvere tornerai.” La posizione della Bibbia è chiara, e i suoi scrittori non si contraddicono: non esiste alcun trapasso in un aldilà, la morte è uno stato di inattività totalizzante.
Tusculanae disputationes, Cicerone
L’importanza di Cicerone non si deve solo alle sue orazioni magniloquenti intrinseche di concinnitas, ma per il suo compendio di filosofia greca in lingua latina. Ebbe una vita travagliata, oltre ad un matrimonio infelice sperimentó il lutto della figlia Tullia che lo spinse a scrivere una consolatio a se stesso. Questa insieme con le Tuscolanae disputationes, un dialogo botta e risposta tra Cicerone e il suo interlocutore avvenuto alla villa di Tusculo, accolgono come probabile la possibilità che alla morte periscano ogni attività e pensiero, incluse le sofferenze. Quindi la morte non è da temere e il fine di ogni uomo dovrebbe essere liberarsi da tale paura.
De rerum natura, Lucrezio
Gerolamo pone una tara sulla vita di Lucrezio. Dirà nella sua biografia che questi morì suicida dopo aver bevuto un filtro d’amore, che la sua vita oscillava tra il genio e la follia e che la sua opera è frutto di questi intervalli. Forse a Gerolamo non andava genio la dottrina dell’immortalità dell’anima esposta dal filosofo della natura nel suo poema epico didascalico, il De rerum natura. Precisamente nel terzo libro Lucrezio scinde l’anima dall’animus. La prima è il principio vitale, il secondo la mente. Entrambi sono fatti della stessa sostanza del corpo, cioè di atomi, e se il corpo perisce sia l’anima che l’animus subiscono lo stesso destino.
Dialogi, Seneca
D’argomento filosofico sono quasi tutte le opere di Seneca. I Dialogi senechiani, lungi dall’essere dialoghi platonico-aristotelici-ciceroniani, nel senso che non intervengono due o più interlocutori su un argomento con una cornice drammatica e un’ambientazione storica, piuttosto Seneca si rivolge direttamente ai suoi interlocutori: ora una donna dell alta società romana, ora un potente liberto dell’imperatore, entrambi sofferenti per la morte di un loro caro. Nella consolatio ad Marciam e ad Polybium, Seneca si proporne di dimostrare che la morte non è da temere perché con essa cessano le sofferenze. Seneca batte dove il dente duole anche nelle Epistole morali a Lucilio, un caro amico che cerca di indottrinare nella filosofia stoica, che trova uno dei pochi punti di contatto con quella epicurea esposta da Lucrezio, Cicerone invece è un eclettico.
Conoscere la verità sulla morte, da paragonare ad un sonno profondo, mitiga l’ansia e la paura che può attanagliate chi brancola nel buio.