Perché accumuliamo rifiuti con così tanta velocità e a quale rischio andiamo incontro? Scopriamolo analizzando un saggio di Bauman e il film d’animazione WALL E.
Questo articolo è scritto al PC e per leggerlo è necessario possedere almeno uno smartphone. Ma che fine fanno i nostri dispositivi quando decidiamo di sostituirli? E perché lo facciamo? La prima domanda è abbastanza complicata mentre per quanto concerne la seconda, Zygmunt Bauman può esserci d’aiuto. È difficile oggi trovare, in una qualsiasi parte del mondo, una persona che non possegga almeno un apparecchio elettronico o elettrico: sia esso un frigorifero, una TV, uno smartphone o un computer. Nella realtà odierna questi oggetti sono indispensabili e inoltre sono alla portata di tutti, si trovano in commercio modelli di smartphone che vanno dal più economico cellulare da 100 euro fino a modelli di ultimissima generazione che superano i 1000. Un’altra caratteristica importante è la velocità con cui le case produttrici partoriscono nuovi modelli. Queste stesse aziende invogliano i consumatori a cambiare i loro dispositivi, oramai obsoleti, con delle apparecchiature più recenti e di conseguenza migliori. Ma scegliendo di sostituire un determinato dispositivo elettronico con un altro, va da sé che dobbiamo disfarci del nostro vecchio apparecchio e qui emerge una problematica fondamentale.
Come distruggere il pianeta cambiando smartphone
Il Global E-waste Monitor (un rapporto che fornisce una panoramica completa delle statistiche globali sui rifiuti elettronici) ha fatto notare che nel 2016, a livello globale, sono state prodotte circa 44,7 milioni di tonnellate di rifiuti elettronici. Nel 2018 è stata raggiunta invece la cifra di 50 tonnellate. Per quanto riguarda il nostro paese, si stima che ogni abitante produca 5 Kg di rifiuti elettronici all’ anno, circa 100.000 tonnellate in totale. Continuando di questo passo, nel 2050 saranno circa 120 milioni le tonnellate di e-waste (rifiuti elettronici) presenti sulla superficie del nostro pianeta. Il fenomeno è ovviamente determinato da una moltitudine di fattori come la scarsa informazione dei cittadini o il disinteresse politico e il buco creato da questi due fattori viene riempito dalle ecomafie attraverso l’export illegale e lo smaltimento illecito. In questo modo si è creato un business della cyber spazzatura che reca danno all’ambiente e alla salute umana. Le organizzazioni criminali ricavano dalle apparecchiature elettroniche i pezzi ancora funzionanti mentre il resto viene abbandonato o interrato in aperta campagna. Nei casi peggiori questi rifiuti vengono esportati illegalmente in altri paesi. Questo contribuisce al proliferare di situazioni come quella di Agbogbloshie (la più grande discarica di rifiuti elettronici dell’Africa) uno dei tanti esempi di paesi in via di sviluppo usati dall’Europa come centri di stoccaggio e smaltimento di rifiuti elettronici. Ma anche in Italia la situazione non è delle migliori. Basti pensare al rapporto di Legambiente sulle ecomafie, il quale ci dice che nel 2017 sono nate 17.000 discariche abusive facendo aumentare il fatturato della criminalità organizzata.
La Terra sommersa dai rifiuti; l’attualità di WALL E
Se dovessimo fare una previsione a lungo termine in merito al nostro ambiente basandoci su questi dati lo scenario risulterebbe apocalittico. Un pianeta oramai colmo di rifiuti dove forse non ci sarà più spazio per gli esseri viventi e saremo costretti, progresso scientifico permettendo, ad emigrare su un altro pianeta. È proprio questo il contesto ambientale e sociale che fa da sfondo a WALL E: un film d’animazione del 2008 realizzato da Pixar Animation Studios in coproduzione con Walt Disney Picture e diretto da Andrew Stanton. Il pianeta Terra è ormai stato abbandonato dagli esseri umani a causa dell’accumulo eccessivo di rifiuti e dell’inquinamento. L’unico rimasto è WALL E, il protagonista del film: un robot che vive sul nostro pianeta e si occupa di smistare e compattare i rifiuti. Se nel 2008 questo lungometraggio poteva sembrare del tutto fantascientifico oggi acquista una ingente dose di realtà. Se l’essere umano continuerà a consumare oggetti e gettare rifiuti con l’attuale frequenza, il futuro del nostro pianeta risulterà seriamente compromesso. Ma per il modo in cui è strutturata la società, convincere l’uomo a cambiare tendenza significherebbe convincerlo a modificare la sua natura che oggi corrisponde con quella del consumatore.
Zygmunt Bauman: come il consumismo ha modificato la natura umana
La natura dell’uomo consumatore è un aspetto molto interessante che emerge in un acutissimo saggio del noto sociologo Zygmunt Bauman. In “Consumo dunque sono” viene innanzi tutto distinto il consumo rispetto al consumismo. Il primo è un aspetto del tutto congruente con la nostra natura che ci accomuna anche ad altri tipi di esseri viventi. Esso, scrive Bauman: “può essere raffigurato come un ciclo metabolico di ingestione, digestione ed escrezione, è un aspetto permanente ed ineliminabile della vita svincolato dal tempo e dalla storia, un elemento inseparabile dalla sopravvivenza biologica che gli esseri umani condividono con tutti gli altri organismi viventi”. Questo aspetto che a tutta prima risulta naturalissimo e addirittura necessario si trasforma in un fattore problematico nel momento in cui si instaura una sorta di dittatura del consumo che con l’andare del tempo tende sempre di più a invadere e regolare ogni aspetto del modus vivendi dell’individuo. Questo è il passaggio dal consumo al consumismo e ad uno stile di vita nel quale la felicità non consiste più con il soddisfacimento dei bisogni ma con l’aumento dei desideri. In questo senso si tende sempre di più a consumare e gettare per poi ricomprare e ridare avvio a questo ciclo. Tutto questo meccanismo non avviene secondo l’autore, solo nei confronti delle merci ma anche per quanto riguarda le persone e quindi non si prende più cura di una persona anziana perché vecchia o anche riguardo al tempo nella misura in cui si vive solo il presente, il passato è un inutile fardello. In sintesi, tutto ciò che è vecchio è da buttare perché considerato inutile ed obsoleto. In una società di consumatori il consumo è visto come un diritto ma soprattutto come un dovere. In essa tutte le relazioni temporali divengono più brevi, se una volta il valore di un oggetto era definito in buona parte dalla sua capacità durare, oggi viene valutato in maniera opposta. Un oggetto acquista valore in base alla sua capacità di non durare e di essere quindi sostituito con un altro al fine di soddisfare questo desiderio di consumo che si è impossessato di noi. È questo il meccanismo che regola la società e le vittime sacrificali di questo sistema basato sul consumo sono coloro i quali non hanno la possibilità di consumare: i poveri. E qui il discorso ritorna alle città-discariche favorite dall’Europa nei paesi in via di sviluppo. Noi consumiamo e chi è meno fortunato smaltisce ciò che resta del nostro consumo. Ma se non verrà posto qualche limite a questo crudele meccanismo sarà esso stesso a consumare noi.
Pier Carlo Giovannini