Confirmation bias: il circolo vizioso della mente umana

Immaginate di essere seduti in macchina, la radio a tutto volume trasmette l’Oroscopo del giorno. Siete diretti ad un colloquio di lavoro ed improvvisamente lo speaker annuncia che per il vostro segno zodiacale sono previste “grandi novità in ambito lavorativo per questo mese, la fine di un amore non corrisposto ed una delusione inaspettata nella giornata di oggi”. Stando a quanto promesso dall’Oroscopo (e supponendo che crediate nella sua esattezza) immaginate che sarete assunti o scartati al termine del colloquio?
Se la risposta che avete scelto è la prima, sappiate che la colpa è soprattutto del Confirmation bias.

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credit: Stefano Tesi

Il bias di conferma (o Confirmation bias) è un atteggiamento tipico della natura umana, che porta ciascuno di noi a confermare un’ipotesi tramite prove a favore piuttosto che ricercare evidenze contrarie che possano smentirla. Per ritornare all’esempio sopracitato – mentre in mezzo al traffico fantastichiamo sul nuovo lavoro che otterremo una volta superato il colloquio – ci risulterà più facile evidenziare nella nostra mente l’affermazione “grandi novità in ambito lavorativo per questo mese” (ovvero l’essere assunti) piuttosto che l’altrettanto plausibile “una delusione inaspettata nella giornata di oggi” (ovvero l’essere rifiutati).

Il ruolo sociale del Confirmation bias

In relazione a questa potente forma di autoinganno – dalla quale nessuno, indipendentemente da fattori come intelligenza, abilità individuali o apertura mentale, sembra essere esente – sono state associate diverse cause:  tra queste una sorta di difesa dell’identità personale, che ci spinge a preservare le nostre idee (sebbene esse si rivelino spesso fallaci) poiché negli anni hanno contribuito a modellare la persona che siamo, o ancora perché sono valori condivisi dal nostro gruppo sociale di appartenenza, partito politico o nido famigliare.

Se da un lato il pregiudizio di conferma ci fa sorridere – dimostrandoci come la nostra mente sia involontariamente manipolabile delle nostre stesse credenze o speranze – dall’altro si manifesta come uno dei fenomeni psicologici a maggior rilevanza sociale.
Infatti, quando – pur condividendo un ambiente simile e la stessa disponibilità di informazioni – persone diverse si convincono in buona fede della verità di ipotesi ed opinioni diverse, il risultato non può essere nient’altro che il conflitto: tra individui, gruppi, nazioni, o semplicemente tra diverse visioni del mondo. Tanto che gli eventi più drammatici di questo meccanismo psichico si manifestano in ambito politico (lotte tra partiti diversi), sociale (pregiudizi razziali e discriminazione), religioso (conflitti tra credi appartenente inconciliabili) ma anche medico-scientifiche (diagnosi fallaci poiché basate sulla nostra esperienza piuttosto che sulla realtà dei fatti).

L’esperimento delle quattro carte di Wason

A proporre un esperimento che dimostrasse l’esistenza del Confirmation Bias, fu Peter Wason, psicologo cognitivo che nel 1966 lo sottopose a 128 studenti universitari.

Confirmation bias
Le quattro carte di Wason

Ai soggetti venivano mostrate quattro carte da gioco che presentavano su una faccia una lettera e sull’altra un numero. Le carte – disposte in modo da mostrare solo una delle due facce possibili – erano collocate in quest’ordine: A, K, 2, 7.
A quel punto Wason comunicava ai soggetti l’unica regola aurea del gioco: “se una carta mostra una vocale su di un lato, allora avrà un numero pari sull’altro lato”.
Il compito degli studenti era quindi quello di verificare che la regola fosse sempre rispettata. In che modo? Voltando solamente le carte strettamente necessarie a tale scopo.
La maggior parte degli studenti rispose che ad essere girata doveva essere la carta raffigurante la lettera “A”. La risposta infatti è corretta: se sollevando la prima carta verifichiamo che la faccia nascosta ha impresso un numero pari, allora possiamo tranquillamente affermare che la regola sia stata rispettata.
Tuttavia, seppur azzeccata, questa risposta è incompleta. Per essere realmente sicuri che “se una carta mostra una vocale su di un lato, allora avrà un numero pari sull’altro lato” è infatti necessario anche girare la carta con il numero “7”: solo se sul retro di tale carta troveremo una consonante potremo essere pienamente convinti della veridicità della regola, cosa che non accadrebbe se, al contrario, dovessimo trovarci davanti una vocale.

A dare la risposta giusta (“le carte da girare sono la A e il 7”) fu solo il 5% degli studenti testati: questo accade perché, se da un lato, la maggior parte di noi tende a ricercare la conferma di un’ipotesi (girando la carta A), raramente il nostro ragionamento attua il meccanismo contrario, basato sullo scartare le possibili falsificazioni (girando, appunto, la carta 7). Il tutto a riprova del fatto che, per natura, tendiamo a dare maggior importanza alle sole informazioni a sostegno della nostra tesi, piuttosto che a quelle che potrebbero smentirla.

Francesca Amato