Nel 2006 esce nelle sale il film Children of men, che rappresenta un futuro distopico non così lontano dal nostro presente in cui si mescolano molti temi politici attualmente dibattuti, tra i quali quello sull’immigrazione. Le attuali politiche di intransigenza dei governi italiani e statunitensi ci invitano a riflettere, con un preoccupato occhio di riguardo al profetico film di Alfonso Cuarón.
Il seguente articolo può contenere alcuni SPOILER sul film.
Salvini, Trump e l’immigrazione
“Da 97mila migranti dello scorso anno siamo arrivati a 19mila e quindi 80mila in meno e ciò vuol dire che volere è potere.” Queste le parole del vicepremier italiano Matteo Salvini in un intervista de Il Giornale. Non diverse sono le idee del Presidente degli Stati Uniti d’America Donald Trump, che vorrebbe stanziare dei fondi cospicui per la costruzione di un muro al confine con il Messico, in modo da regolamentare le immigrazioni clandestine dei centroamericani. Tutto ciò non fa parte di un romanzo distopico o di una sua eventuale trasposizione cinematografica, ma sono gli eventi che stanno attualmente plasmando il presente. Le ideologie di questi due leader si intrecciano in un legame profondo, saldato dalla volontà di affermare l’identità delle rispettive nazioni. La lotta contro l’immigrazione è effettivamente il cavallo di battaglia sia dell’amministrazione Trump, sia della Lega di Salvini, i quali hanno operato una campagna elettorale forte e ferma sui punti che metterebbero in dubbio l’effettivo potere identificativo del proprio Stato. Se per alcuni la loro politica può essere ritenuta giusta ed esemplare, per altri essa può risultare talmente radicale da sfiorare gli intoccabili diritti umani. È recente la battaglia tra le principali nazioni europee contro le Ong (Organizzazioni non governative), che cercano di salvare le persone che fuggono dalle guerre, imbarcandole su delle navi dirette ai principali porti europei e scontrandosi con la dura opposizione di Salvini, giustificata dalla volontà di regolamentare l’immigrazione in un paese, secondo il suo pensiero, troppo spesso accondiscendente con gli stranieri. Negli Stati Uniti, poi, Trump ha provocato il cosiddetto shutdown, un blocco delle attività amministrative federali, a causa della sua richiesta di stanziamento di 5,7 miliardi di dollari per la costruzione del fantomatico muro al confine col Messico. Un’azione, questa, che sta momentaneamente lasciando i dipendenti pubblici senza stipendio e a casa da un mese, mentre più di 5mila soldati, insieme alla polizia di frontiera e alla Guardia Nazionale, vengono inviati al confine per un controllo più intensivo, profilandosi all’orizzonte la costituzione di enormi tendopoli. Il futuro di queste politiche sull’immigrazione appare più che mai incerto e nebuloso, forse capace di allontanarsi dalla considerazione dei diritti umani.
Children of Men: un futuro profetico?
Nel 2006 esce nei cinema la pellicola di Alfonso Cuarón, Children of Men, ispirata dall’omonimo romanzo distopico dell’autrice P. D. James. Ambientato nell’anno 2027, il mondo di Children of Men non è così diverso dal nostro presente. L’umanità affronta la piaga dell’infertilità generale in un contesto di caos e disordine sociale, dove l’immigrazione diventa un fenomeno al limite dell’incontrollabile. Le città del mondo sono in rovina e gli immigrati cercano di fuggire da città ancor più malandate cercando di introdursi illegalmente nel Regno Unito, uno dei pochi paesi rimasti che può garantire un livello inferiore di confusione. Gli stranieri, quando vengono presi, subiscono dei controlli molto invasivi e, se riescono ad avere l’accesso alla città, vengono rinchiusi in specifiche zone della città similmente a dei ghetti e sottoposte di continuo ai controlli poco ortodossi dei militari. Per chi, invece, non riesce a passare dall’altro lato lo aspetta l’arresto o, nel caso più grave, un’esecuzione immediata. Nonostante il tema portante del film sia l’infertilità, il contorno che fa da scenario è fondamentale per capire ciò che poi succede successivamente: il protagonista, Theo Faron (interpretato dall’attore Clive Owen), si ritrova a dover scortare una immigrata, Kee, che sembra essere importante per un organizzazione terroristica nota come i Pesci, capeggiata dall’ex-moglie di Theo. Proprio la sua ex convincerà Theo a parlare con il cugino, membro dell’associazione L’arca delle arti, un luogo dove viene conservato ciò che è rimasto di rilevante dell’arte, per rendere più agevole l’introduzione della ragazza nel paese. I due protagonisti dovranno attraversare le frontiere colme di repressione militare per gli immigrati, scoprendo che Kee è molto più importante di quel che può sembrare poiché è la prima ragazza incinta dopo anni. Una volta superate le frontiere dovranno affidarsi alle probabili intenzioni di un’organizzazione nota come ‘Progetto umano’ che potrebbe risollevare le sorti dell’umanità con l’aiuto di Kee. Il film del regista messicano, oltre ad essere tecnicamente accattivante e visivamente struggente, riflette sul futuro in maniera molto prossima e non troppo a lungo termine, trattando la tematica sociale del’immigrazione e in tal senso anticipando di molti anni questi temi che oggi sono più attuali che mai.
Cosa ci riserva davvero il futuro?
Forse è difficile ipotizzare cosa ci riservi il futuro per il nostro attuale presente. Il film di Cuarón ha comunque il merito di farci riflettere enormemente sulle possibilità di un’escalation pericolosa, potenzialmente in grado di evolversi in fenomeni di repressione gravi e pericolosi, mentre dovremmo prestare molta attenzione alle trasformazioni degli attuali avvenimenti, plasmati da uomini fondamentali per il futuro dei loro rispettivi Stati. Figure come Trump e Salvini esprimono delle ideologie molto forti, accentuate da un atteggiamento che sembra radicalizzare le loro posizioni politiche, soffocando malamente il dissenso per le loro opinioni e comportando un’evoluzione negativa delle dinamiche sull’immigrazione. Ci auguriamo che il film Children of Men non sia così angosciosamente profetico, nonostante la già inquietante ambiguità del presente.
Luca Vetrugno