Chi sei? Il problema dell’identità personale in Memento tra memoria e racconto

Qual è il fondamento dell’identità personale? E se non fossi più in grado di immagazzinare nuovi ricordi? Un film ci aiuterà a rispondere a queste e altre domande.

Memento è un film del 2000 scritto e diretto da Christopher Nolan e tratto dal racconto del fratello Jonathan Nolan dal titolo Memento Mori. Famoso per il suo storytelling non convenzionale, non a caso ha vinto nel 2002 l’Oscar come migliore sceneggiatura originale e come miglior montaggio. Il film narra la storia di Leonard Shelby (interpretato da Guy Pearce), un uomo afflitto da amnesia anterogada: un disturbo della memoria che gli impedisce di immagazzinare nuovi ricordi. La sua memoria si resetta ogni 10/15 minuti, rimanendo ferma al momento dell’incidente che gli ha provocato il suo disturbo e durante il quale ha perso la moglie. Leonard ora ha un unico obbiettivo: trovare la persona che ha ucciso sua moglie e vendicarsi. Mentre seguiamo Leonard nella sua ricerca una domanda sorge spontanea: chi è Leonard? O meglio, come fa Leonard, nella sua condizione, a determinare chi è? Il film sembra darci due risposte che rimandano a due diverse concezioni dell’identità personale: l’identità basata sulla memoria e l’identità narrativa.

L’identità basata sulla memoria

Una delle più influenti teorie sull’identità personale (tanto da essere entrata nel senso comune) è quella elaborata dal filosofo John Locke nel Saggio sull’intelletto umano (1690). Cosa unisce il me stesso di oggi al me stesso di cinque anni fa? Prima, il fondamento dell’identità personale era posto in una qualche “sostanza” eterna ed immutabile (vedi il concetto di “anima”). Locke fu il primo a porre il fondamento dell’identità personale nella memoria. Il concetto è molto semplice: io sono la stessa persona di cinque anni fa perché posso ricordarmi di un azione o un pensiero avuto all’epoca. E questo vale fin dove si spinge la mia “continuità della coscienza“, ovvero fino all’ultima azione o pensiero che mi è possibile ricordare. Oppure, detto con le stesse parole di Locke:

«fin dove questa coscienza può essere estesa indietro ad una qualsiasi azione o pensiero del passato, fin lì giunge l’identità di quella persona»

Ora, se dovessimo adottare questa prospettiva, il caso di Leonard sarebbe davvero disperato. Mancando della capacità di immagazzinare nuovi ricordi il suo io dovrebbe essere fermo al momento dell’incidente. E di fatto, Leonard è costretto ad usare metodi “alternativi” per ricordarsi quel è il suo obbiettivo e quali passi ha fatto nella sua ricerca: bigliettini e post-it messi dappertutto, tatuaggi sulla pelle. La validità di questa concezione dell’identità personale sembra essere ulteriormente confermata dalla struttura non convenzionale di questo film. La storia è raccontata al contrario: iniziamo con il finale e poi ripercorriamo gli eventi a ritroso. Questo da un lato, ci mette negli stessi panni del protagonista: anche noi, come lui, ad ogni nuova scena non sappiamo dove ci troviamo, perché siamo lì. Ma dall’altro lato, noi possiamo fare qualcosa che Leonard non può fare: noi possiamo ricordare quel che abbiamo visto precedentemente e fare i necessari collegamenti. Tutto sembra andare a favore della teoria di Locke… O forse c’è di più?

L’identità narrativa

Un’altra concezione dell’identità personale ha fatto recentemente il suo ingresso nel panorama filosofico contemporaneo, soprattutto grazie al filosofo Paul Ricoeur: la cosiddetta “identità narrativa“. Possiamo considerare questa prospettiva un’ampliamento della precedente, nel senso che anche qui viene riconosciuto il ruolo determinante della memoria ma non ci si ferma ad essa. Infatti, la memoria permette solamente di far emergere singoli ricordi che di per sé sono scollegati gli uni dagli altri e che solo successivamente vengono collegati in una narrazione coerente. Non è la memoria ma questa capacità creativa e costruttiva ad essere determinante per l’identità personale. Però, proprio per questo carattere creativo e costruttivo, l’identità narrativa è fragile e potenzialmente fallace. Questo può essere involontario (per il semplice fatto che è impossibile replicare esattamente lo svolgimento degli eventi del passato) ma può anche essere volontario. Questo è il caso di Leonard. Come apprendiamo nel finale (che cronologicamente è l’inizio della storia) Leonard in realtà ha già trovato l’assassino di sua moglie: non una ma più volte. Ma ogni volta (approfittando della sua condizione) ha continuato a cercare nuovi capri espiatori per avere un obbiettivo, un motivo per continuare a vivere. Si è fabbricato una storia per raccontarsi chi è e che cosa deve fare. E certo, il suo caso è assolutamente estremo ma pensandoci bene: non è forse quello che facciamo tutti? Più o meno coscientemente, non fabbrichiamo anche noi la nostra identità, non modelliamo anche noi il nostro passato per sapere in che direzione volgere il nostro futuro?

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